L’Italia ha una legge per tutelare e promuovere il suo patrimonio storico, artistico e paesaggistico. Ha una legge per tutelare e promuovere nel mondo le eccellenze industriali e artigianali del Paese, prevenendo la contraffazione e facilitando la commercializzazione nel mondo dei prodotti italiani. Ha una legge per tutelare e promuovere la cultura delle proprie minoranze linguistiche. Ma non ha nessuna legge per tutelare e promuovere la lingua italiana.

Almeno fino ad oggi, dato che un gruppo di cittadini ha deciso di inviare al parlamento una proposta di legge per l’italiano.

Che una legge possa occuparsi, a qualsiasi livello, della nostra lingua, evoca immediatamente in molti italiani lo spettro della legislazione fascista, che proibì le parole straniere per decreto e impose traduzioni per ogni forestierismo. Fortunatamente però quella non è l’unica via: esistono politiche linguistiche in molti Paesi democratici, come la Spagna, la Francia o la Svizzera, per restare vicini a noi. Ma cos’è esattamente una politica linguistica? Possiamo definirla come l’insieme delle politiche adottate da uno Stato per gestire le lingue parlate sul suo territorio. Può comprendere diversi strumenti, come il riconoscimento dell’ufficialità di una determinata lingua, l’obbligo del suo insegnamento nelle scuole, la sua promozione all’estero, fino all’incoraggiamento alla formazione di neologismi per mantenerne aggiornato il lessico.

Storicamente, la decisione di adottare politiche linguistiche è stata spesso dettata dalla volontà di tutelare lingue minoritarie rispetto al contesto nazionale, pensiamo per esempio al bilinguismo in Alto Adige o in Catalogna. Ma negli ultimi decenni anche Paesi che parlano lingue forti e molto diffuse a livello mondiale, come francese o spagnolo, hanno adottato delle politiche per tutelare i loro idiomi. La causa evidente è l’avanzata dell’inglese come lingua franca mondiale, tale da influenzare tutte le altre lingue e culture del pianeta.La presenza di una lingua franca de facto presenta certamente molti vantaggi pratici, negli scambi economici, scientifici, o nel turismo. Ma rappresenta anche una minaccia alla pluralità culturale, dato che rischia di invadere lo spazio che le altre lingue hanno sui loro territori di origine, facendole arretrare nell’uso. Ricordiamo infatti che una lingua si può definire come “un dialetto che ha fatto carriera”. In Italia è stato il volgare toscano a seguire questo percorso, fino a diventare una lingua, l’italiano, usata in ambito politico, amministrativo, filosofico, accademico, economico, tecnico-scientifico e così via.

Ora l’Italia sta di fatto “demansionando” la sua lingua, facendole fare grossi passi indietro nella carriera. Dal 2018 i progetti di ricerca di rilevante interesse nazionale (Prin) che chiedano finanziamenti pubblici, devono essere obbligatoriamente essere presentati in inglese. Pur trattandosi appunto di progetti di rilievo nazionale e anche nel caso di materie umanistiche; ciò significa che un progetto di ricerca sull’opera di Dante Alighieri dovrebbe essere presentato in lingua inglese per essere finanziato dallo stato italiano.Nel 2012 il Politecnico di Milano, università statale finanziata con denaro pubblico, ha dichiarato l’inglese “lingua ufficiale dell’ateneo” e ha deciso di abolire tutti i corsi di laurea specialistica e di dottorato in italiano, mantenendoli solo in inglese. Tre diverse sentenze giudiziarie hanno stabilito che l’italiano non può essere eliminato senza criterio da tutti i corsi universitari. Nonostante questo, nel 2020 su 40 corsi specialistici del Politecnico, 27 erano solo in inglese. E dove l’italiano rimane in uso, il suo lessico si riempie sempre di più di termini inglesi “crudi”, non adattati, diffusi dai politici e dai giornali. Tra i Paesi di lingua neolatina, solo l’Italia ha sentito il bisogno di importare la parola “lockdown” per parlare di chiusura e confinamento. E il suo governo ha poi lanciato il “Cashback di Stato per favorire gli acquisti cashless”. Recenti riforme approvate dal Parlamento italiano prendono il nome di Jobs Act e Family Act, e la discussione politica è stata molto accesa su flat tax, sugar tax, plastic tax e web tax. La notizia inaspettata è che il nuovo presidente, Mario Draghi, ha sottolineato questo abuso di anglicismi con una battuta durante un suo discorso, pochi mesi fa: “Chissà come mai dobbiamo sempre usare tutte queste parole inglesi…”, si è chiesto.

legge per promuovere l’italiano - draghi

Se persino una persona come Draghi, ben abituato a lavorare in contesti internazionali parlando un ottimo inglese, ha notato questo fenomeno, forse i tempi sono maturi per una riflessione collettiva che porti a elaborare finalmente una politica linguistica equilibrata e seria in favore dell’italiano. E questo è l’obiettivo che di alcuni cittadini, sostenuti da un collettivo chiamato “Attivisti dell’italiano”, che hanno deciso di sfruttare l’articolo 50 della Costituzione italiana, il quale consente ai cittadini di sottoporre al parlamento petizioni per esaminare proposte di legge o altre richieste. La proposta quindi nasce dal basso e si articola in 11 punti, caratterizzati da ben poche restrizioni e molti richiami alla sensibilizzazione dei cittadini e delle istituzioni. La lingua infatti “la fa chi la parla” e ciascuno deve essere libero di parlare e scrivere come vuole, ma bisogna essere consapevoli che le scelte di ciascuno, come sempre, influenzano tutti. Anche in campo linguistico. Il testo, sottoposto ai due rami del Parlamento il 22 marzo scorso, è stato assegnato due giorni dopo alla VII Commissione del Senato, ed è ora in attesa di discussione. Non è scontato che sia discusso, né al Senato né alla Camera. Se lo sarà, occorrerà poi che uno o più parlamentari decidano di portarlo in aula. Dunque i promotori stanno cercando di raccogliere attorno alla proposta quante più adesioni possibile, attraverso una raccolta firme. E’ possibile leggere il testo completo della proposta e sottoscriverla a questa pagina.

Un’iniziativa che ha davanti a sé un percorso molto difficile, ma che potrebbe segnare un inedito segnale di attenzione da parte delle istituzioni italiane verso la loro lingua, che sembra più amata all’estero – da stranieri e discendenti di italiani – che in patria.

Una legge per promuovere l’italiano, la lingua più amata all’estero che in patria ultima modifica: 2021-04-23T09:00:00+02:00 da Redazione

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