Alberto Contri è stato per 20 anni a capo di Pubblicità Progresso (1999-2019). Tante importanti campagne di comunicazione sociale portano la firma di questa Fondazione, importante riferimento nel panorama culturale italiano. Lo scorso anno Contri ha ceduto il testimone. Oggi però è già pronto per una nuova sfida. Un uomo brillante come lui, docente di Comunicazione Sociale presso IULM, con un passato da consigliere Rai e amministratore delegato di RaiNet, ha voluto rimettersi in gioco. Quando gli è stata proposta la presidenza del neonato Centro per la Responsabilità Sociale S. Bernardino ha accettato con grande entusiasmo. Contri ha raccontato in anteprima a italiani.it la sua nuova mission. Martedì 1 dicembre c’è stata la presentazione della XVIII edizione del Premio S. Bernardino e nell’occasione lanciato il nuovo progetto.
Come è nata questa collaborazione?
Contri. Il Premio ha una storia antica. Nasce dalla volontà di coinvolgere le scuole, dalle primarie a quelle professionali di grafica, nella creazione di campagne sociali. Le più belle e interessanti vengono premiate. Io a quei tempi ero in Pubblicità Progresso. Mi ero appassionato a costituire un network, che chiamavamo Athtena, di cui facevano parte oltre 100 Atenei, 85 Facoltà e comprendeva esperti di sociologia, statistica, filosofia, comunicazione, psicologia, giornalismo… Insieme ragionavamo su come migliorare la comunicazione sociale, coinvolgendo gli studenti. In Pubblicità Progresso avevamo costruito (ci vollero 15 anni di lavoro) un gigantesco archivio con le più performanti campagne sociali del mondo. Le più interessanti dal punto di vista del linguaggio o della tecnica.
La storia della comunicazione sociale…
Contri. Venti anni sono tanti. Ho accumulato tanta esperienza. Per questo, una volta terminato il mio percorso in Pubblicità Progresso, gli amici del Premio S. Bernardino mi hanno cercato per propormi di lavorare a qualcosa di nuovo. L’obiettivo è di trasformare il Premio in un’esperienza diversa, quella di un Centro di responsabilità sociale in cui andrà a confluire tutta l’esperienza che io ho maturato in questi lunghi anni. Il Premio non sarà più limitato al Lazio ma diventerà nazionale. Tutti partiamo da un comune convinzione che il degrado complessivo, sociale e culturale, possa essere contrastato con l’educazione e l’insegnamento. Bisogna partire dai più piccoli.
Anche il Ministro Moratti aveva istituito un Premio di comunicazione sociale per gli studenti
Contri. Esatto. Si trattava di una competizione che coinvolgeva le prime classi fino alle scuole professionali. I ragazzi si cimentavano nel creare campagne sociali. Si scoprì, come osservazione di carattere sociologico, che i bambini proponevano in maniera fanciullesca storyboard con idee strepitose dal punto di vista concettuale. Notammo, invece, che i ragazzi di 15-16 anni confezionavano proposte con un’esecuzione perfetta (video, Photoshop) ma con scarse idee creative e spesso tanta imitazione.
Perché secondo lei?
Contri. Man mano che crescevano, a questi ragazzi non veniva permesso di coltivare la creatività anzi gli veniva tarpata. Da questa esperienza possiamo trarre che sui bambini si può lavorare su tanti fronti e rieducarli a osservare qualunque tipo di audiovisivo con occhio critico. Insegandogli ovviamente come si fa. Col Centro di responsabilità sociale S. Berardino pensiamo di riprendere quel tipo di lavoro con un approccio di tipo formativo e culturale.
Chi l’assisterà in questo progetto?
Contri. Ho costituito un comitato scientifico di 20 docenti di tutte le materie vicine a questo mondo: spettacolo, sociologia, processi culturali ma anche teologia. Vogliamo lavorare insieme al concetto di “responsabilità” nella comunicazione sociale per far arrivare i giusti principi. Sul fronte della tecnologia, per esempio, o dell’intelligenza artificiale stiamo rischiando gravissimi errori. Ecco perché ho voluto in questo progetto persone di livello elevatissimo come la Stefania Bandini, docente di Informatica all’Università di Milano Bicocca ma soprattutto filosofa e RCAST all’Università di Tokyo.
Qual è l’obiettivo?
Contri. Bisogna confrontarsi sui limiti etici nella ricerca e nello sviluppo tecnologico. Non è detto che si possa fare tutto. Il Premio non è un evento glamour, ha dietro attività di formazione a tutti i livelli dalle università alle scuole primarie.
Da dove si comincia?
Contri. Bisogna cominciare a correre. Gambe in spalla e partire. Con diversi docenti del Comitato siamo disponibili anche a costruire seminari tailor made per aziende che intendono affrontare con spirito innovativo e realmente etico la sostenibilità e la responsabilità sociale. Non si può fare comunicazione sociale e poi magari approvvigionarsi in Paesi dove i lavoratori vengono trattati come schiavi o dove ci sono bambini che lavorano nelle miniere. Come ha recentemente svelato lo studio di un’associazione australiana. Ci vuole la massima coerenza anche in questo.
Le viene in mente un case history?
Contri. Io sono nato a Ivrea. Sono andato via quando avevo dieci anni. Se devo pensare a un grande esempio di responsabilità sociale, per l’attenzione estrema verso i propri dipendenti e i consumatori con la qualità dei prodotti, mi viene in mente Adriano Olivetti che trasformò la piccola Ivrea in un paradiso in terra.