La poesia è forma d’arte sublime. Sa metterci in contatto con l’universo non sempre visibile che abbiamo dentro. Grazie a lei impariamo a osservare il mondo attraverso il prisma della bellezza, facendo pace con ciò che fatichiamo ad accettare.

Si chiama poesia per guarire quella del poeta, scrittore e blogger Paolo Gambi, dal febbraio 2019 collaboratore di italiani.it e già vincitore del Premio Guidarello per il Giornalismo d’Autore (2012), del Premio Rimini Europa (2016) e del premio Loris Malaguzzi per la poesia (2019). Ha scritto 28 libri e collaborato con il Cardinale Tonini, Gustavo Raffi, Alessandro Cecchi Paone, Alessandro Meluzzi, Ettore Gotti Tedeschi e perfino Raoul Casadei. Di recente ha pubblicato la silloge di poesie L’enigma del paguro, La memoria della magnolia, L’approdo del salmone.

copertina del libro di poesie del poeta Paolo Gambi

Non è solo una raccolta ma un viaggio di esplorazione, verso gli approdi più nascosti dell’animo. Leggere le poesie di Gambi è un cammino. Ma anche un’ occasione per scorgere quell’idea pura di Bellezza che è capace di muovere il mondo.

Molti i temi accarezzati dalla penna di Gambi. Facile e bello sarà muoversi tra enigmi e stati d’animo. Un invito a vivere secondo un ideale personale, senza paura di andare controcorrente. Senza mai interrompere soprattutto la nostra personale ricerca del bello. L’antidoto vivifico all’inferno liquido che ci nasconde l’essenza delle cose e della vita. Del ruolo del poeta e del concetto nodale di Bellezza ci parla Paolo Gambi in questa intervista esclusiva.

il poeta Paolo Gambi mentre legge il suo libro di poesie

Dove trovi l’ispirazione per i tuoi versi?

Sono loro che cercano me, non viceversa. Chi ha conosciuto l’Arte sa che funziona così: è lei che decide tutto. Quando ti si mostra poi puoi solo arrenderti ad essa o passare il resto della vita a rimpiangere di non averlo fatto. È per questo che ho mollato tutto: giornalismo, lavoro, il pensiero di una vita normale. Per lasciarmi inseguire dall’Arte. E i versi fluiscono da soli.

Che valore ha la poesia per te?

La poesia è il modo che ho per tradurre in un linguaggio umano il mistero della Bellezza. È, come ogni forma d’arte, un ponte che unisce mondi lontani, il qui con ciò che sta oltre, di là, in un altrove. Direi che per me oggi la poesia è tutto. E credo veramente che possa salvare il mondo. Anzi, credo che lo stia già facendo.

Qual è il ruolo del poeta oggi?

Ci sono poeti, convinti di essere padroni e depositari della poesia, che stanno arroccati in una conoscenza “esoterica”, in circoli chiusi e piccolissimi, certi che solo loro possano maneggiare la poesia. Io all’esatto contrario sono convinto che nessuno possa chiamarsi “padrone” dell’Arte ma al massimo suo servitore. E come servitori dell’Arte i poeti devono portare poesia dappertutto. I poeti oggi, in un momento storico in cui la parola – detta o scritta – è tornata ad avere un ruolo centrale anche grazie alla tecnologia hanno una responsabilità immensa: portare Poesia, e quindi salvezza, nel nuovo inconscio collettivo, nella mente su cui si specchia tutto il villaggio globale. Non è una faccenda di poco conto e non si può fare se non impolverandosi i piedi. E le dita.

Dalla tua silloge notiamo un’attenta conoscenza dell’animo umano. Com’è nato tanto interesse?

È nato nel preciso momento in cui mi sono reso conto di appartenere alla categoria “essere umano”. Per anni ho inseguito l’interesse all’umano facendo il giornalista, raccontando le storie della gente. Poi le storie ho iniziato a inventarle nei miei romanzi. Poi l’ho fatto facendo il “mental coach” entrando nei meandri della mente umana. Ma nella sua pienezza la risposta arriva solo con i linguaggi dell’Arte, che meglio di ogni altra cosa spiegano agli uomini il mistero dell’umano.

La tua silloge è un viaggio nella Bellezza che salverà il mondo. Qual è la tua idea del bello?

Per me il bello è uno degli assoluti, è un concetto mistico. Sì, certo, la Bellezza affiora nelle piccole cose, si specchia, anche se solo per un attimo, in un viso, in un corpo, in un panorama. Ma è molto di più. Bellezza, Bene, Dio, in un certo senso sono sinonimi, sono parole che gli esseri umani usano per raccontare qualcosa che la loro mente da sola non riesce ad abbracciare. La Bellezza è ciò che sta in quella dimensione misteriosa in cui sono in vigore le leggi del cuore. Ma non salverà il mondo nel futuro. Lo sta già salvando qui e ora.

Il paguro cerca appiglio per salvarsi dall’inferno esistenziale. Quali appigli porteranno noi in salvo?

Non mi sento portatore di molte risposte, mi viene meglio farmi voce delle domande. So che viviamo in un “inferno liquido” che racconto nella prima parte del libro, quello di Zygmunt Bauman in cui tutto – identità, istituzioni, ideologie – è liquefatto. Per poterci salvare abbiamo bisogno di legno, relitti a cui aggrapparci. E se questo legno trova la terra prende vita e diventa un albero. E l’albero conserva la memoria dell’universo. È la seconda parte del libro, il “purgatorio arboreo”. Quindi forse la prima parola per strapparci dalla logica liquida dell’inferno è proprio “memoria”.

Una tua lirica è dedicata all’arte del perdono. Senza il perdono c’è solo l’inferno. Come si può imparare a perdonare, e quanto può cambiarci?

Chi non sa perdonare finisce sempre per avere un condannato molto illustre come vittima delle proprie sentenze: se stesso. Per poter perdonare gli altri dobbiamo prima imparare a perdonare noi stessi. Con un abbraccio che accetta con umiltà tutto ciò che di noi non ci piace, tutto ciò che non è così come la nostra mente vorrebbe. Per rinunciare a ciò che per logica sarebbe giusto – cioè la condanna del colpevole – chi vuole perdonare deve trovare quindi due piccoli semi: l’umiltà e l’abbraccio.

C’è una poesia all’interno della silloge a cui sei più affezionato?

Ci sono alcuni versi che ancora oggi mi fanno sempre commuovere, in senso letterale, quando li leggo. Come questi:

e resterà solo ciò che conta:

ciò che è piccolo

e che va piano.

Ma non saprei proprio il perché. Magari agli altri non diranno nulla. La poesia è così: parla intimamente alle persone, e ciascuno è un mondo a sé.

Il salmone riesce a salvarsi dall’inferno perché, diverso dagli altri, va oltre ciò che fa la massa. Cosa significa per te andare controcorrente?

Non accettare acriticamente ciò che viene imposto come “normale”. Oggi il politicamente corretto ha riscritto nuovi dogmi per guidare la nuova ideologia che ambisce a diventare unica. Ecco, nuotare controcorrente oggi significa per esempio combattere per la libertà, contro la tirannia del politicamente corretto. Ma significa anche andare contro se stessi. Per essere realmente noi stessi dobbiamo essere capaci di abbandonare tante cose che crediamo siano parte di noi. Come una noce: per andare al cuore bisogna spaccare il guscio.

Il tempo della pandemia ha favorito l’introspezione. Così come i tuoi versi che portano il lettore a calarsi in se stesso. Quanto è importante ai fini creativi il dialogo interiore?

Ho perso i contorni dell’interiore e dell’esteriore. Il dialogo è tra dentro e fuori, me e gli altri, me e me stesso, in modo quasi indistinto. “Dialogare” è un termine straordinario: dal greco dia-logos, una parola che attraversa. Ecco credo che la nostra sfida, la sfida di ciascuno, sia proprio quella di riuscire ad aprirci alla parola, a questo “dialogo” che abbraccia l’intero universo, dalla stella più lontana al giardino del nostro vicino di casa. Ed è dall’incontro di cose diverse che nasce qualcosa di nuovo. Il processo creativo sta tutto lì.

La poesia è una forma d’arte che fatica ad affermarsi, cosa ne pensi?

Penso che questo non sia proprio vero. Vedo, con piacere, che i social hanno risvegliato un’intera nuova generazione attratta dalla poesia. Ci sono milioni e milioni di persone giovani e giovanissime – qualche centinaia di migliaia solo in Italia – che usa instagram come orizzonte di una sia pur semplice ricerca poetica. Io stesso nel mio piccolo, durante la quarantena, ho fatto dirette poetiche quotidiane. Ogni giorno alle 21 leggevamo poeti grandi e piccoli. All’inizio eravamo una ventina, poi cinquanta, poi qualche centinaio. Siamo arrivati ad essere 2400. Credo sia vero che nelle ultime generazioni quei poeti che hanno voluto fare della poesia una faccenda per critici letterari e circoli esoterici hanno allontanato la gente da quest’arte. Ma quel periodo è finito. Le porte si sono riaperte ed è tornata a circolare l’aria.

Inconsciamente ci portiamo dentro i nostri maestri ispiratori. Quali sono i tuoi?

Sai che ai ragazzi che mi scrivono sui social per leggere le loro poesie dico sempre: “per scrivere una poesia bisogna leggerne cento”… L’elenco quindi sarebbe molto lungo. Voglio però citare i tre mostri sacri che non si possono non conoscere a menadito se si vuole trattare di poesia: Omero, Dante e Shakespeare. Un mio particolare nume di riferimento è Jorge Luis Borges, che secondo me aveva capito tutto. C’è poi la Szymborska, perché è stata una delle prime letture che mi hanno trascinato nell’universo poesia. Ma anche Pessoa, che nonostante il suo pessimismo che me lo renderebbe umanamente così lontano, mi pulsa vicino. Molto meno gli italiani: al momento (e si cambia quotidianamente) mi sento un po’ più distante dalla poesia italiana del Novecento. A parte D’Annunzio, che non smette di affascinarmi e di Pascoli, che anche ieri mi ha regalato una lacrima.

“E resterà solo ciò che conta: ciò che è piccolo e che va piano.” Intervista a Paolo Gambi ultima modifica: 2020-05-24T13:00:00+02:00 da Mariangela Cutrone

Commenti