Le sue origini italiane, la cultura del suo Paese quanto hanno inciso nella sua carriera professionale?
Per me la cultura musicale romana è stata importante fin da piccolina perché mi ha avvicinato alla musica in quanto mio nonno cantava gli “stornelli romani”, che oggi gli Italiani prendono un po’ alla leggera ma che, in realtà, hanno avuto un ruolo di tutto rispetto nel panorama artistico nazionale. Se pensiamo a Lando Fiorini, solo per citare un esempio, gli artisti di questo genere raccontavano una storia, quello che accadeva, le emozioni che provavano. Sentimenti che sono molto diversi da quelli che viviamo noi ora. I ragazzi di oggi forse non capiscono che cosa significa aspettare un marito che torna dalla guerra.
Quindi tra papà “romanaccio” e nonno che cantava gli stornelli sono sempre stata circondata dalla musica. Tutto questo bagaglio che ho acquisito non mi è servito forse molto a livello tecnico ma sicuramente nell’interpretazione, in particolar modo nel sentire una storia e nel saperla raccontare.
Secondo lei l’Italia è ancora un Paese meritocratico per quel che concerne la musica? Quali potrebbero essere gli effetti collaterali del non avere persone di qualità nel mondo dello spettacolo?
No, sinceramente l’Italia non è un paese meritocratico. Non dico che la musica italiana non sia piena di talenti, tutt’altro. Nel passato ha dato la possibilità di farsi conoscere a grandi personaggi come Luigi Tenco, Mia Martini; oggi, invece, passa il concetto che qualsiasi persona possa cantare, possa interpretare e, anzi, se qualcuno canta bene è considerato “vecchio” e questa cosa è sbagliata.
Si è creata una scissione tra quella che è la tradizione, che viene relegata a qualche cosa di “antico” e l’innovazione. Riprendendo le parole di grandi intellettuali del passato mi ritrovo nell’idea che “il progresso provoca un’involuzione”.
Non tutti coloro che sono stati innovatori e che “sono arrivati” possono definirsi a mio giudizio cantanti. Nella massa oggi c’è chi è ancora un cantante, nel vero senso della parola. Ad esempio Marco Mengoni, per me rappresenta la sobrietà, la tranquillità, a prescindere dalle sue scelte personali, dalla sua vita. Mengoni è una persona che non ostenta, nasce come cantante e viene giudicato come tale, interpreta le canzoni e canta con la sua bellissima voce.
Va anche detto che la maggior parte degli artisti di oggi “sbiascicano”, non si capisce cosa dicano ma tutto ciò è considerato innovativo.
Certo bisogna aprirsi a nuovi mondi, ma i grandi del passato non esploravano facendo cose che risultavano essere brutte. Schopenhauer ricercava ma non diceva cavolate. Se pensiamo alla tragedia greca comunque quella era innovazione ma, dietro, c’era l’arte.
Faccio un esempio ancora più attuale che riguarda l’auto-tune. Se vuoi mettere un effetto sulla tua voce, va bene, ma se tu canti solo con questo mezzo e sei stonato, che messaggio mandi ai ragazzi? Quello che tutti possono cantare ma non è così.
Gli effetti collaterali del non avere persone di qualità nel mondo dello spettacolo saranno quelli che, tra cinquant’anni, i nostri figli non sapranno qual è la tradizione musicale, non sapranno chi erano, ad esempio, Aretha Franklin, Nina Simone cosa che succede già ora. Se una persona ha studiato almeno la storia della musica, conosciuto tutti quanti i generi musicali, tutti i modi di esprimersi, allora può creare il suo “genere” in maniera molto più completa.
Sogna di portare la sua musica all’estero? Perché?
Sogno di portare la mia musica all’estero perché ho imparato ad amare tutte le culture proprio perché diverse da me; mi incuriosiscono e quindi vorrei che gli altri facessero altrettanto con la mia. In più, il bel canto, l’Italia sono unici, lo dobbiamo dire.
Ho avuto la fortuna di stare per un po’ all’estero, di partecipare a grandi concorsi e devo dire che i cantanti stranieri sono tutti tecnicamente preparatissimi, obiettivamente molto più di noi. Non esistono, per quello che ho potuto vedere io, artisti che salgono sul palco e sono stonati. Però quello che a loro manca, essendo molto impostati, è questo nostro modo di “sentire” il brano con il cuore. Io vorrei proprio esportare all’estero questo aspetto.
In più fuori dall’Italia, devo essere obiettiva, il “bel canto” non è considerato “vecchio” e il cantante di questo genere ha uno spazio culturale nel quale si può infilare, mentre in Italia quando parliamo di opera, a meno che non ci riferiamo ad una nicchia di persone che vanno a teatro, è molto difficile che un lirico possa fare una serata di piazza, non viene proprio portato in questi contesti.
Inoltre se noi al pubblico diamo la possibilità di ascoltare generi diversi quest’ultimo può scegliere cosa apprezzare ma se, invece, nelle radio, vengono messe sempre le stesse cose, le persone si abitueranno a quel tipo di musica e succederà che ai radioascoltatori piacerà anche quello che all’inizio non piaceva. Non dico che dobbiamo fare solo lirica o soul, che è il mio genere, ma dobbiamo riconoscere che, se una persona canta bene, è intonata, ha una bella voce, ha qualche cosa da dire, porta emozioni e non “sbiascica”, le va dato un po’ più di merito.
Lei si è esibita anche all’estero. La musica italiana, è ancora credibile al di fuori del nostro Paese?
La musica italiana al di fuori del nostro Paese è molto amata e non solo. Gli stranieri apprezzano tantissimo anche quando noi interpretiamo delle canzoni della loro tradizione. Ad esempio, a “The voice Romania” ho interpretato “Buna Seara, iubite” e il pubblico è completamente impazzito. Avevo paura perché andavo a toccare una canzone molto cara ai Rumeni e invece hanno apprezzato il fatto che io abbia imparato la loro pronuncia, abbia capito la loro tradizione. Quel brano è stato arrangiato da Roberto Lanzo ed era completamente diverso dall’originale. Il pubblico ha gradito l’innovazione e io ho comunque rispettato il pezzo.
Un altro esempio ancora. Il 3 dicembre 2022, nella sala Palatului a Bucarest insieme a Jonathan Cilia Faro ho cantato “E non finisce mica il cielo”. Malgrado il pubblico non capisse benissimo l’italiano e non conoscesse molto Mia Martini, lo ha ascoltato fino all’ultimo e lo ha applaudito. I Rumeni credono, più di noi, che sia possibile cantare una storia attraverso la musica.
Quali sono state le principali difficoltà che ha dovuto superare per diventare un’artista affermata in Italia?
Innanzitutto non sono una persona alla quale piace stare al centro dell’attenzione, cosa che dicono molti cantanti ma che, spesso, non è vera. Nel mio caso lo è, in quanto mi sento sotto giudizio. Poi, però, quando inizia la musica e comincio a cantare per fortuna tutto questo cambia.
Da piccola, quando mi chiedevano che cosa volessi fare da grande, ho sempre detto che desideravo cantare mai “avere successo”. Sono due cose completamente diverse per me. Vanno certo in parallelo e ottenerle entrambi mi permetterebbe di vivere della mia passione.
Se parliamo con le ragazzine di oggi e poniamo loro la stessa domanda rispondono con: “Voglio fare l’influencer, voglio avere successo”. Nessuna risponde: “Voglio cantare”.
Con l’arrivo della televisione e in particolare con la mia partecipazione a “Ti lascio una canzone” le cose sono cambiate a poco a poco. Salivo sul palco, chiudevo gli occhi e poi li riaprivo ed esistevamo solo noi: io e la musica. Oggi il pubblico apprezza il fatto che io vada a cercare dentro di me le mie emozioni e poi, aprendo gli occhi, le tiri fuori. Sul mio modo di stare sul palco qualcuno mi ha detto: “Tu muovi le braccia come se fossero i rami di un albero e racconti una storia dove crescono le foglie”. Quindi quella che inizialmente sembrava una mia limitazione oggi è diventata un mio punto di forza.
L’altra difficoltà è che ti senti sempre dire: “Tu sei molto brava, sei molto bella, sei molto tutto” ma poi in realtà “non ci servi, sei troppo tradizionale”. Questo aspetto mi ha amareggiato molto ma, per fortuna, ho una famiglia molto solida alle spalle e quindi ho superato il tutto con tranquillità anche se, ancora oggi, mi sento dire “Sei fantastica ma come mai stai ancora a casa?”.
Penso che in Italia chi canta veramente fatichi a trovare il suo spazio a livello discografico perché andrebbe a rendere instabile tutta una serie di scelte radiofoniche che sono state fatte negli ultimi venti anni.
Se fossi vissuta ai tempi di Giorgia, nel periodo in cui cantava “Come saprei” le cose sarebbero state diverse. In quel periodo quel tipo di voce, simile al mio, era molto apprezzato. In qualche maniera credo che avrei avuto un terreno più fertile per potermi esprimere mentre in questo momento, in realtà, gli addetti ai lavori non sanno dove collocarmi. Ora tutto questo non lo vivo come una sconfitta, da piccola provavo dolore poi, con il tempo, capisci che magari il tuo ruolo è da un’altra parte, che ognuno ha il suo destino.
Come artista quali sono ancora i suoi sogni nel cassetto?
Ho ancora tanti sogni nel cassetto. Quello principale e che li riassume tutti è quello di fare della musica il mio lavoro a 360 gradi. Credo che gli artisti soprattutto in Italia non abbiano la possibilità di fare in modo esclusivo questa professione perché in realtà, a fine mese, non ci arrivano. Non è un mestiere riconosciuto come tale. Una cantante o sta ai livelli di Emma Marrone e allora viene apprezzata da tutti ma se canta, per esempio, ai matrimoni deve comunque trovarsi un altro lavoro per vivere.
All’estero questo non succede. Se mi chiedono che cosa faccio e rispondo la musicista, questa professionalità viene riconosciuta. Credo che in Italia dobbiamo riprendere il concetto di arte e capire che quest’ultima insieme alla creatività dovrebbero essere alimentate.
Se potesse duettare con un artista del passato (italiano o estero), chi sceglierebbe e per quale motivo?
Mi piacerebbe duettare con Aretha Franklin perché è il mio idolo. La seguo fin da bimba ed era un “mostro di bravura”, una dea. Lei non cantava impostata, era la regina, è sempre stata vera e anche dal punto di vista estetico non si faceva problemi.
Secondo lei, oggi, ci sono ancora autori e/o compositori italiani che rappresentano il vero “Made in Italy” o anche le nostre canzoni stanno semplicemente diventando un prodotto commerciale ad uso e consumo delle mode?
Secondo me esistono ancora autori che rappresentano il vero “Made in Italy” e che si stanno adeguando ai tempi perché a Roma si dice “ bisogna campà”.
Per quel che riguarda il fatto che la musica stia diventando un prodotto commerciale devo dire che a Sanremo sono stati scritti testi a 4 o 5 mani. Anche io ne scrivo, ma mi rendo conto che quando lo faccio a quattro mani non è sempre facile in quanto ognuno di noi ha la propria storia, le proprie idee e le vuole esprimere. Si deve quindi trovare un compromesso con l’altro e talvolta, così facendo, si rischia di perdere la propria identità, la propria specificità. Per cui credo molto di più in quello che mi racconta la storia che nel comporre insieme. Battisti, Mogol si sono sempre caratterizzati perché erano unici.
Il Maestro Jonathan Cilia Faro che l’ha nominata da sempre sostiene l’importanza della meritocrazia e della filantropia nel campo musicale. Attualmente qual è il cantante che lei stima maggiormente e in che cosa secondo lei contribuisce a dare lustro all’Italia?
Sarò contro corrente ma penso a Renato Zero perché nonostante l’età ha un timbro unico. Sono cresciuta con lui visto che ho una mamma “sorcina” e poi perché i suoi brani sono poesie, racconta storie. Quando lui canta io vedo, attraverso le sue parole, delle immagini. Quindi a prescindere dalla sua sicura dote vocale, per me lui rappresenta proprio l’emblema del saper trasmettere la canzone e dell’essere empatici.
Nella canzone “Presente”, ogni volta che la sento piango, lui dice: “la mia minestra calda quanto mi manca, essere primo a tutti i costi davvero stanca, voglio respirare poesia, la mia”. Nei testi di oggi il termine “minestra” non si usa mai, se ci riflettiamo bene, ma questa parola è una realtà quotidiana. A me è venuta in mente subito mia nonna. Le canzoni di Renato Zero hanno delle immagini che gli artisti di oggi “si sognano”. Lui è un cantante e un poeta.
Parlando di meritocrazia e di filantropia, secondo lei tra le giovani promesse, quale artista crede meriti di poter emergere? Per quale motivo?
Reputo molto bravo Davide Shorty. Ha fatto Sanremo e non lo conosco di persona ma canta e mi piace il suo modo di cercare l’innovazione e di esprimersi. Oltre a lui, conosco e amo molto Eky. Ha partecipato, come me ma tre anni dopo, a “All Together Now” e lo ha vinto. È un ragazzo di origine indonesiana e canta Michael Jackson in modo straordinario, ha un timing perfetto ed è una persona dolce, non piena di sé. È talentuoso. Ha attenuto importanti risultati nella sua vita e potrebbe vantarsi e invece è modesto.
A seguito della sua esperienza, a suo giudizio, è più facile collaborare con altri artisti italiani o è più stimolante farlo con cantanti stranieri?
Credo che dipenda sempre dal carattere della persona. Sicuramente se si proviene dalla stessa cultura è più facile collaborare a livello linguistico, culturale ed emotivo avendo un certo tipo di bagaglio in comune. Collaborare con cantanti stranieri diventa un’esperienza più “frizzantina”, perché bisogna capirsi, si comunica in una lingua diversa dalla propria, di solito diversa per entrambi gli interlocutori e quindi tutto risulta talvolta più difficile ma nel momento in cui nasce una magia cantando insieme, allora lì, ti rendi conto che la musica non ha confini.
Quali sono a suo giudizio le caratteristiche principali che deve avere un artista per poter affermarsi in Italia? È sufficiente il talento?
Io sono dell’idea che per affermarsi si deve avere talento, anche se so che oggi non è così. Se potessi decidere, vorrei che venissero riconosciuti come artisti coloro che hanno talento, cuore e umiltà. Secondo me questi elementi sono quelli che hanno reso “grandi” gli artisti del passato. Noi siamo troppo improntati sul cercare di essere e ci perdiamo l’essere.
Che progetti ha per il prossimo futuro?
Partirò in tournée tra poco con il Maestro Jonathan Cilia Faro e sono molto contenta di questa cosa perché lui ha creduto subito in me. Io ero perplessa, mi dicevo: “Perché un italiano che canta bene vuole me?” E lui si è presentato dicendomi: “Veronica tu hai del talento e io ho un ego piccolo così”. Jonathan è una persona che se vede per l’appunto nell’altro un luccichio, qualche cosa di speciale non lo esclude. Saremo sia in Romania che in Italia, nella mia città natale. Jonathan desiderava molto portare questo tipo di spettacolo a Roma e anche io ci tengo tanto. Sarà l’occasione per i miei tanti amici di capire che oltre al tipo di musica che sono soliti ascoltare in radio c’è molto molto altro. Sul palco ci sarà anche Roberto Lanzo. Sarà una serata speciale.