“No” ai test rapidi per l’accertamento del covid-19 effettuati dai medici di medicina generale e dai pediatri. Lo dicono lo Snami (Sindacato nazionale autonomo dei medici italiani), e lo Smi (Sindacato medici italiani). Entrambi i sindacati hanno manifestato la propria contrarietà all’esecuzione dei test negli studi medici, definendo la scelta “una pura follia”, che non garantirebbe la sicurezza a cittadini e operatori.
Test rapidi: solo Fimmg ha dato la disponibilità
L’accordo per l’esecuzione dei test rapidi ha avuto il via libera definitivo dalla Conferenza Stato Regioni. Tuttavia, tra i sindacati dei medici di base, solo la Fimmg (Federazione dei medici di medicina generale), ha dato la disponibilità, anche se al suo interno non c’è la piena condivisione da parte di tutti gli iscritti. Al contrario, Smi e Snami si sono opposti a questa decisione, ribadendo il loro “no”, già peraltro annunciato prima dell’estate, quando si è iniziato ad ipotizzare un loro maggiore coinvolgimento nel contenimento dell’epidemia. In pratica, il via libera ai test rapidi negli studi medici è stato dato solo per circa 27mila medici.
Pina Onotri, segretario generale Smi, boccia l’accordo
Sull’accordo, firmato lo scorso 27 ottobre dal sindacato maggioritario Fimmg, con la Sisac, l’ente deputato alla contrattazione per la parte pubblica, si è espresso il segretario generale del Sindacato dei medici italiani, Pina Onotri, bocciandolo con fermezza. “È irricevibile – ha affermato Onotri – l’accordo stralcio per l’esecuzione dei test rapidi per il coronavirus negli studi dei medici di famiglia. Siamo all’imposizione. A questo disegno i medici dicono no! I nostri studi per l’attività extra di effettuare tamponi rapidi non possono diventare motivo di contagio per i nostri pazienti lì dove non riusciamo a tenere separati i percorsi”.
Test rapidi: le ragioni del “no”
Tuttavia, la leader sindacale evidenzia l’apertura, su base volontaria, ad effettuare i tamponi da parte dei medici che abbiano spazi adeguati, ma si dice pronta a proclamare lo stato di agitazione se non si ascoltano le istanze dell’associazione di categoria. “La categoria dei medici è stanca – ha spiegato – , sta sopperendo alle mancanze e alle deficienze di organico degli Uffici di sanità e d’Igiene pubblica. Stiamo, inoltre, seguendo i nostri pazienti per quanto riguarda le patologie croniche e oncologiche. Si può obbligare a fare i tamponi le colleghe incinte e i colleghi neoplastici, cardiopatici e con insufficienza respiratoria? Siamo pronti a proclamare lo stato di agitazione se non verremo ascoltati”.
Test rapidi: il parere del presidente provinciale Snami, Francesco Pecora
Un’altra voce che ha manifestato il suo totale disaccordo ai test rapidi è quella del presidente provinciale Snami Catania, Francesco Pecora. “Non è possibile – ha dichiarato Pecora – che ci sia una costrizione, per una serie innumerevole di motivi che abbiamo chiaramente indicato. La nostra proposta Snami è stata l’impossibilità dell’esecuzione dei tamponi negli studi dei medici di famiglia. A parte l’inidoneità, i medici dedicandosi ad una mansione così particolare ed onerosa, avrebbero meno tempo da dedicare all’assistenza sanitaria dei loro assistiti, soprattutto anziani, fragili ed affetti da patologie croniche, in un contesto in cui la chiusura di parte di attività ambulatoriali negli ospedali e della maggior parte dei servizi specialistici vede oggi i medici di famiglia impegnati a trecentosessanta gradi, anche come impegno straordinario per surrogare le carenze del sistema. Non dimentichiamo che siamo in piena campagna di vaccinazione antinfluenzale. Non da ultimo – ha concluso – siamo perennemente messi sotto pressione dai pazienti, che non avendo punti di riferimento relativamente all’emergenza covid, si rivolgono a noi su questioni prettamente burocratico-lavorative, come se potessimo sostituirci ad altri organi dello Stato, vedi Inps, Inail, Provveditorato agli studi e consulenti del lavoro”.