Questa mattina, mi sono alzato, oh bella ciao, bella ciao, bella ciao ciao ciao… Che la si ami o la si odi, chiunque in Italia (e non solo) conosce e saprebbe cantare “Bella Ciao”, almeno nel suo ritornello. Il celebre “canto partigiano” è un simbolo di libertà e di rivolta contro l’oppressore e, proprio per questo, viene associato al 25 aprile (giorno della Liberazione d’Italia dal nazifascismo). Grazie al suo potente messaggio, il brano ha visto crescere la sua popolarità anche al di fuori dei confini nazionali divenendo l’inno della resistenza universale cantata in Turchia, in Iraq, in Cile e, ancor più recentemente, in Ucraina, distrutta a causa dell’invasione russa. La popolarità del brano negli ultimi anni è infine cresciuta anche grazie alla serie TV NetflixLa casa di carta”. Ma “Bella ciao” nasce davvero come canto partigiano? Le risposte in questo caso sono discordanti.

Origini di Bella ciao

Le origini della canzone sono incerte. Per alcuni la melodia è stata ripresa da quella di un brano della tradizione popolare yiddish (ebraica), nella versione suonata dal musicista Mishka Ziganoff (1919). Altri pensano invece si tratti di un riadattamento della versione cantata dalle mondine negli anni Trenta (da cui riprende il celebre verso “oh bella ciao”). Per quanto riguarda il testo invece, questo riprenderebbe un brano popolare piemontese di fine Ottocento, intitolato Fior di Tomba (presente anche nella tradizione veneta e lombarda). In questo caso non c’entra nulla la libertà o la Resistenza, ma il brano parla di una donna che vede parlare il suo amore con un’altra donna e vuole morire di crepacuore. La canzone partigiana viene riportata ufficialmente per la prima volta nel 1953, nella rivista “La Lapa”. Il successo arriva poi nel 1964, quando viene proposta al Festival dei due mondi di Spoleto (nella versione delle mondine).

Canzone partigiana o no?

Oggi il pensiero comune vuole che questo brano sia un canto dei partigiani. La realtà, secondo alcuni, non sarebbe proprio questa. Il giornalista e partigiano Giorgio Bocca dichiarò che nei 20 mesi della guerra partigiana non sentì mai cantare “Bella ciao”. Dello stesso avviso è il giornalista Giampaolo Pansa che, nel suo libro “Bella ciao. Controstoria della Resistenza”, scrisse che il brano non fu mai dei partigiani, come molti credono. Dall’altro lato, lo storico Cesare Bermani afferma che il canto era già intonato dai partigiani della Brigata Maiella in Abruzzo. La stessa tesi viene sostenuta dallo storico Ruggero Giacomini, il quale ha affermato che la canzone venisse intonata già nel 1944 dai partigiani arrivati nelle Marche. Tuttavia non sembra esserci alcun cenno a Bella ciao prima degli inizi degli anni Cinquanta. Non appare infatti nemmeno nella sezione “canti partigiani” del “Canzoniere italiano” di Pasolini, datato 1955.

Come ha fatto “Bella ciao” a divenire quindi un simbolo della resistenza? Grazie alla sua musica coinvolgente e il suo testo evocativo. Oggi molti pensano che questa sia una canzone “di sinistra”, un canto comunista, ma anche in questo caso si tratta di un luogo comune. A differenza di altri brani come “Fischia il vento”, “Bella ciao” non presenta alcun richiamo alla politica e al comunismo ed è stato addirittura usato anche a conclusione del congresso democristiano del 1976. Cantata in ogni parte del mondo, in svariate versioni e in svariate lingue, “Bella ciao” è un inno universale di libertà. Anche se la sua storia non inizia con i partigiani, oggi è simbolo della Resistenza, da cantare il 25 aprile, come ogni giorno, per ricordarsi che la nostra società e la Repubblica ha il profumo di quel “fiore del partigiano”, morto per la libertà.

Foto in evidenza: © Wilma Guerrini – Wikimedia Commons (CC BY-SA 4.0).

Bella ciao: storia del più famoso canto della Resistenza italiana ultima modifica: 2022-04-25T12:30:00+02:00 da Antonello Ciccarello

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