Moda: c’è poco da fare: quando si parla di moda si parla di Italia. A ben pensarci sono pochi i settori in cui un unico popolo eccelle in maniera così schiacciante su tutti gli altri. Ma se pensiamo ai più importanti e consolidati marchi di moda del mondo sono prevalentemente italiani: Armani, Versace, Valentino, Gucci, Prada, Dolce e Gabbana… e si potrebbe andare avanti ancora a lungo con l’elenco.

Ma com’è successo questo? Quali sono gli elementi che hanno portato a questo straordinario successo nella moda? Proviamo a ipotizzarne alcuni.

  1. L’arte. L’Italia è piena d’arte. Magari non ce ne rendiamo conto ma cresciamo con gli occhi continuamente a nuoto in un mare di Bellezza. Magari neppure ricordiamo consciamente quanto vediamo ma tutta l’arte che la storia ci ha lasciato ci entra dentro. E finisce per farci inseguire la Bellezza anche quando non ce ne accorgiamo.
  2. La perfezione. Gli italiani sono perfezionisti. Ma molto perfezionisti. Molto più di quanto pensino. Perché non si accontentano e hanno come modello di riferimento il meglio.
  3. La tradizione. Rimangono tradizioni antiche in Italia che ci portiamo nel sangue. L’abito buono della domenica, i vestiti tradizionali di confraternite e feste, la complessa gerarchia sociale che si affacciava nelle differenze di abiti. Tutto questo vive ancora negli italiani.
  4. La competizione. Così tanti staterelli che componevano il mosaico italiano hanno messo città in competizione con città, con uno spirito di fondo che mette quartieri in competizione con quartieri e famiglie in competizione con famiglie. Tutto questo non può che portare, dolorosamente, all’eccellenza.
  5. La religione. Fino a poco tempo fa l’Italia era un luogo profondamente religioso. La cura dei riti cattolici a cui tutti assistevano mostrava una bellezza estetica di paramenti e ornamenti che evidentemente non è stata dimenticata.

Altrimenti perché Italia è ancora oggi sinonimo di moda?

Moda: ecco perché gli italiani sono i migliori al mondo ultima modifica: 2020-01-16T10:04:52+01:00 da Paolo Gambi

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