In questo articolo, il cui titolo è un anagramma usato per l’omonimo saggio di Sergio Miceli, ho voluto approfondire il contributo di chi, da sempre, io ritengo rappresenti la più importante personalità riguardanti l’intricato, e sempre più inafferrabile, dialogo fra il linguaggio del cinema e quello della musica: Ennio Morricone.

All’analisi del connubio tra la musica e il cinema sono state conferite solamente in tempi recenti solide basi teoriche. Ennio Morricone ha svolto un compito di svecchiamento nel settore italiano della musica da film. È un musicista che può definirsi ‘a tutto tondo’ per le sue spiccate qualità di comprensione e di adattamento alle più distanti direttrici musicali, nelle quali è comunque sempre rintracciabile il suo stile. La musica è un ammorbidente di spazio e tempo. Nelle lunghe scene di duello dei film di Sergio Leone (in cui i personaggi non fanno altro che stare fermi come statue uno di fronte all’altro) la musica di Ennio Morricone è preziosa per rendere accettabile una simile immobilizzazione del tempo.

Ennio Morricone
Ennio Morricone

Basterebbero poche note ‘reminiscenti’ di C’era una volta il west a far ripercorrere nell’inconscio un itinerario fatto non solo di praterie, di sole, ma anche di personali emozioni legate a un frammento di sequenza. Mi ci vorrebbe una notte intera per sciogliere la curiosità che le collaborazioni artistiche di Ennio Morricone suggeriscono. A mio avviso, uno studio sull’intera produzione morriconiana implica un certo carattere ‘sperimentale’. Sono più di quattrocento i film a cui il compositore ha regalato la sua musica. Secondo alcuni specialisti, si sono dichiarati debitori nei confronti del linguaggio di Morricone gruppi come Pet Shop Boys, Dire Straits, Rolling Stones, Bon Jovi, Guns N’ Roses e chissà quanti altri ancora. La mia impressione è che Morricone abbia prestato la propria collaborazione in molte più occasioni di quanto in realtà si sappia. Ma mi limito a scrivere che occuparsi di un compositore dalla personalità così ricca ‘obbliga’ a delineare un profilo globale della musica del nostro tempo. C’è da dire, però, che oggi le scarne interviste e biografie reperibili pongono l’accento maggiormente sul Morricone ‘colto’, cioè quello delle collaborazioni eccellenti, quello che fece dire a Sergio Leone “Oramai non riesco neppure più a immaginare un mio film senza le musiche di Ennio…”. Quello con Leone è un sodalizio felice, interrotto solo dalla prematura scomparsa del regista; poco prima della forzata separazione, i due suggelleranno magnificamente il loro rapporto con la straziante e straordinaria epopea ‘storico – psicologica’ di C’era una volta in America.

C’era una volta Ennio Morricone…

Ennio Morricone nasce il 10 novembre 1928 a Roma. La famiglia vive per lungo tempo esclusivamente della professione del padre Mario, stimato suonatore di tromba in orchestre d’intrattenimento, mentre soltanto molto più tardi la madre, Libera Ridolfi, avvierà a Roma una piccola attività di commercio di tessuti. È quindi presumibile credere che Morricone sia cresciuto in un clima familiare di natura tipicamente proletaria, in cui vita e lavoro si intrecciano in stretto rapporto di dipendenza reciproca e si improntano di un’etica di dignitosa laboriosità. L’iniziazione alla musica avviene infatti non solo grazie alle manifestazioni precoci della sua indole – i primi tentativi compositivi risalgono pressappoco al 1934 – bensì come fase naturale di preparazione a un momento in cui il figlio avrebbe assunto i ruoli paterni, nella famiglia come nel lavoro. La natura delle radici morriconiane induce a credere che il passaggio di consegne tra padre e figlio sarebbe avvenuto comunque, e che la vocazione così precocemente manifestata abbia reso soltanto più accettabile un destino già segnato.

Con un po’ di inchiostro sul pentagramma, Ennio Morricone è entrato nella storia e nei cuori. Basta un timido accenno alle note della colonna sonora del film di Sergio Leone C’era una volta in America per perdersi nella nebbia di una New York gangsteristica. Quel flauto di pan, che richiama le origini indios dell’America, non è che una goccia nel mare di musica che Morricone ha regalato al cinema.

Se è vero che il cinema si è servito del suo talento, è altrettanto vero che Morricone si è servito del cinema per mettere alla prova il proprio talento.

Il pubblico italiano ha scoperto Morricone e lo ha subito identificato con le musiche di Per un pugno di dollari, la cui regia è affidata a Sergio Leone. Dopodiché egli si immerge nella babilonia del cinema, mostrando doti di sopravvivenza indubbie e non comuni. Seguono Per qualche dollaro in più e Il buono, il brutto e il cattivo, titoli appartenenti al genere Western, diretti ancora da Leone. Da allora Morricone, volente o nolente, è doppiamente etichettato: come autore di colonne sonore e come specialista del genere Western dal rendimento garantito. Nell’arco della sua carriera firmerà qualcosa come ventisette commenti per film Western, contribuendo, suo malgrado, a consolidare l’etichetta, per quanto errata e riduttiva. Ed ecco Morricone che, restando fedele a sé stesso, ricorre a cellule ritmico-melodiche sempre più piccole, ma capaci di apparire insolite e simultaneamente familiari anche all’orecchio meno ‘educato’. Ecco allora gli ostinati schizofrenici, meccanici solo in apparenza e perciò inquietanti nel loro procedere non sempre prevedibile. Il fascino esercitato dalle sue musiche per film risiede proprio nella singolare coesistenza di un impianto tutto sommato convenzionale ma, al tempo stesso, reso eccentrico da piccole incoerenze. Ennio Morricone, lasciate che lo scriva, rappresenta una sorta di sigillo di garanzia, al quale ricorrere per cercare di salvare una pellicola mal riuscita o per esaltare le caratteristiche di un prodotto ambizioso.

Norme con ironie: il talento di Ennio Morricone ultima modifica: 2016-09-05T11:37:09+02:00 da Rossana Rosa Di Grazia

Commenti