Oriana Fallaci preferiva essere chiamata scrittore, non scrittrice. Forse per quella necessità di ribadire che il suo essere donna, scrittrice, giornalista, intellettuale non dipendeva da quella declinazione in “a” che la distingueva al femminile. Era una donna, punto e basta. Scrittore, giornalista, intellettuale, non serviva indicare alcuna differenza di genere perché probabilmente era convinta che non era la differenza di genere a fare la differenza.

Oriana Fallaci

La pensava così Oriana Fallaci, e questa convinzione la dice lunga sul suo temperamento. Fiorentina doc, nonostante non proprio purissima per origini familiari. “Fiorentino parlo, fiorentino penso, fiorentino sento – così si narrava la Fallaci ai suoi lettori dell’Europeo – Fiorentina è la mia cultura e la mia educazione. All’estero, quando mi chiedono a quale Paese appartengo, rispondo: Firenze. Non: Italia”.

Come un tarlo infilato nel legno della storia: le interviste con i grandi della Terra

La scrittura sarà la sua vita, o la sua vita sarà la scrittura, da quando giovanissima segue le orme di uno zio avvicinandosi al giornalismo. Parte dalla gavetta: cronaca giudiziaria, di costume, locale e tanto lavoro “di cucina” in redazione. Poi da Firenze si sposta a Roma all’Europeo diretto da Arrigo Benedetti e qui costruisce le basi della sua straordinaria carriera. Si sposta a Milano e comincia a viaggiare. Nascono i primi reportage in giro per il mondo e le sue grandi interviste che ne riveleranno il carattere vulcanico e per certi versi trasgressivo. Una giornalista scomoda ma soprattutto coraggiosa. Come quando, alla fine dell’intervista con l’Ayatollah Khomeini il 26 settembre del 1979, si toglierà lo chador (“uno stupido cencio da medioevo”) che era stata costretta ad indossare per essere ammessa alla presenza del leader iraniano.

Fallaci e Khomeini

Tra le tante tappe di questo eccezionale percorso professionale, Oriana Fallaci segue come inviata la corsa alla luna, è inviata di guerra in Vietnam dove si reca volontariamente seguendo in prima linea i combattimenti più feroci. Intervista i più grandi leader della terra. Da Ali Bhutto a Haile Selassie, al generale Giap. Donne che hanno fatto la storia come Indira Gandhi e Golda Meir. Lo scià di Persia Reza Pahlavi e il presidente dell’autorità nazionale palestinese Yassir Arafat, il segretario di Stato degli Stati Uniti Henry Kissinger, re Hussein di Giordania … Sono interviste in cui la Fallaci cerca “di ascoltare e capire come un tarlo infilato nel legno della storia”.

Il giornalismo, un compromesso per arrivare alla letteratura

Non solo giornalismo. Perchè, è la stessa Fallaci a scriverlo, “per me fu un compromesso, un mezzo per arrivare alla letteratura”. Nel 1962 esce il suo primo romanzo Penelope alla guerra, dove rivendica attraverso la storia di un triangolo amoroso il ruolo della donna nella società e la necessità della sua emancipazione. Negli anni Settanta vive e racconta tutti i principali fatti internazionali. Ed è in questo periodo che intervista uno degli esponenti della resistenza greca al regime dei colonnelli, Alekos Panagulis.

oriana Fallaci

Ne nasce una grande, e tormentata, storia d’amore che si concluderà solo con la morte di Panagulis nel 1976. Questa esperienza porterà a due libri che lasceranno un segno fondamentale nella storia della letteratura. Lettera a un bambino mai nato (1975) racconta l’esperienza drammatica di una maternità mancata. Un uomo (1979) è dedicato alla vita di Panagulis e alla sua tragica fine. Tradotte e pubblicate in tutto il mondo, queste due opere portano Oriana Fallaci ad un successo mondiale.

La rabbia e l’orgoglio contro il terrorismo islamico

In un quadro di consenso globale, sono soprattutto gli Stati Uniti ad elevare in alto i suoi scritti e ad amare la sua letteratura. Nel 1997 riceve la laurea honoris causa in Letteratura dal Columbia College di Chicago. Nelle università americane le lectures della Fallaci sono sempre più richieste. Un amore ricambiato. Oriana Fallaci trascorre sempre più tempo nel suo buen retiro di New York che diventa la sua nuova dimora. Qui, nel 1990 esce Inshallah, dedicato al conflitto in Libano. Poi il progetto di un libro per raccontare la sua storia famigliare. E poi ancora, nel 2001, l’attentato contro le Torri Gemelle. Dopo un lungo silenzio, Oriana Fallaci sente impellente la necessità di prendere posizione raccontando la tragedia delle Twin Towers.

la rabbia e l'orgoglio

La rabbia e l’orgoglio è il titolo di un lungo articolo che esce sul Corriere della Sera e che poi diventa – pubblicato da Rizzoli – “il piccolo libro” dove la scrittrice analizza i problemi dello scontro tra la civiltà occidentale e l’Islam, rimarcando l’impossibilità di una convivenza serena. La rabbia e l’orgoglio diventa best seller numero uno in tutti i Paesi in cui viene pubblicato. Sulla stessa scia e le medesime tematiche esce nel 2004 La forza della ragione.

Un cappello pieno di ciliege e la necessità di raccontare le sue radici

Nel 2005, un anno prima della sua morte, Oriana Fallaci riceve dal Presidente della Repubblica Italiana Carlo Azeglio Ciampi la medaglia d’oro di “benemerita della cultura”. Nel 2006 muore nella sua Firenze stroncata da una grave malattia che lei stessa aveva definito l’”Alieno”. Il “Bambino” era invece il nome che aveva dato alla storia della sua famiglia, una grande saga a cui ha lavorato per quindici anni. Si intitola Un cappello pieno di ciliege, ed è uscita postuma nel 2008. “Un bambino molto difficile – scriveva la Fallaci nel 2001 – … il cui parto è incominciato grazie alla malattia che mi ucciderà e il cui primo vagito si udrà non so quando. Forse quando sarò morta”.

Oriana Fallaci, tra giornalismo e letteratura ultima modifica: 2021-04-01T10:25:40+02:00 da Cristina Campolonghi

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