Fabrizio De André o Faber – come lo chiamava il suo amico d’infanzia Paolo Villaggio – genovese, era poeta dotato di rara finezza musicale e si proclamava antiborghese, nonostante provenisse da una famiglia benestante. Nelle sue interviste ribadiva che non amava raccontare molto di sé perché “tutto ciò che ho da dire lo esprimo nelle mie canzoni”.

Ricordando Fabrizio De André

La canzone in cui più si riconosceva? “Bocca di Rosa”, ha affermato una volta in un’intervista con un sorriso sagace. Artista scanzonato e per alcuni versi forse ambiguo, ha mostrato una grande vena poetica tanto da far scolpire il suo nome nella musica leggera italiana come nelle antologie scolastiche di letteratura.

De André - primo piano di Fabrizio De André

Lo slancio che lo ha spinto a rendersi parte attiva della storia, della sua come quella dei meno abbienti – tanto che qualcuno lo ha definito un intellettuale – va ricercato anche nelle sue origini. Lo stesso De André condivideva la tavola con un padre laureato in filosofia e con un fratello ostile ad ogni voto al di sotto del 30 e lode.
L’aria che si respirava in casa l’ha spinto tra i banchi di legge, all’università. Allora De André componeva musica ma non era il Faber che ricalchiamo ancor oggi in play back. Si è cimentato dapprima con il violino, poi la chitarra, passando per la musica jazz e medievale.

De André: sulle note di uno dei più noti cantautori italiani della vecchia generazione

1958: è questa la data che ha segnato il suo primo disco. Ma il successo si è presentato dieci anni dopo quando Mina ha inciso la sua canzone, “Miranella”.

De André - primo piano di Fabrizio De André

È l’epoca di crociere, viaggi e incontri intellettuali condivisi anche con alcuni dei suoi più cari amici: Gino Paoli, Luigi Tenco, Fernanda Pivani, Paolo Villaggio. Ma anche è il periodo in cui fa emergere il suo credo politico e di vita. Ce lo racconta in capolavori quali “La guerra di Piero”, “Bocca di Rosa”, “Via del campo”. Marito di Enrica Rignon, “Puty”, e padre di Cristiano, De André traccia un prima e un dopo con l’arrivo di Dori Ghezzi.
La donna cambierà le sorti del suo cammino nonché del suo percorso artistico, dando alla vita Luvi. Se Genova, come affermò il cantautore è stata la sua mamma, la Sardegna gli ha insegnato ad affrontare i momenti più duri. Pensava sicuramente, tra i tanti eventi, anche al rapimento che l’ha legato nella campagna sarda per 4 mesi ma che non gli ha impedito di tornare mano nella mano proprio lì con la sua Dori.

De André con Dori Ghezzi

La musica e lo slancio per la vita

Tra i tanti componimenti che guardano a testa in giù la sua firma, l’album “Anime Salve” scritto con Ivano Fossati è stato decretato come sua opera maestra del 1996. Un’unanimità che mise d’accordo critica e fan. De André nel suo disco ha dato voce ad alcuni dei suoi principali temi: la difesa delle minoranze, il disagio, la sofferenza.
La sua paura? La morte. Non quella inevitabile, ma quella interiore. “Un uomo privo di ideali, di passioni o slanci sarebbe un mostruoso animale frutto di istinto e raziocinio”. De André, colto da un tumore, muore a 59 anni. Nella bara porterà con sè tanti ricordi lasciati dai fan, un pacchetto di sigarette, un drappo blu, un naso rosso da clown e la sciarpa della sua città natale.
«Io ho avuto per la prima volta il sospetto che quel funerale, di quel tipo, con quell’emozione, con quella partecipazione di tutti non l’avrei mai avuto e a lui l’avrei detto. Gli avrei detto: guarda che ho avuto invidia, per la prima volta, di un funerale». Paolo Villaggio.

Fabrizio De André: sulle sue note, a 20 anni dalla scomparsa ultima modifica: 2019-01-11T09:00:44+01:00 da Flavia Del Treste

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