Carlo, da Napoli a Hollywood… è il sogno di tanti. Ci racconti la tua storia?

Sono nato e cresciuto a Napoli sono un napoletano verace. A 15 anni ho lasciato la famiglia perché volevo andare alla scuola militare Nunziatella che è a Napoli; ho vissuto tre anni in quella scuola e poi, a 18 anni ho lasciato Napoli e sono entrato all’accademia di Modena. Sono stato un ufficiale dei Carabinieri per diversi anni, sono stato in giro per l’Italia e anche all’estero e poi, a un certo punto, ho lasciato l’Arma e mi sono dedicato a un lavoro che molti definiscono diametralmente opposto, che è quello di attore e sceneggiatore che io invece definisco forse complementare o di completamento. Quindi sono stato a Roma qualche anno, ho lavorato come attore e ho cominciato a muovere i primi passi come sceneggiatore. Poi, a un certo punto ho fatto una scelta che i miei genitori hanno definito “pazza”, di punto in bianco sono venuto in America dove ho cominciato la mia carriera. Adesso sono qui ormai da alcuni anni, ho preso la cittadinanza americana, sono quindi cittadino italiano e americano.

La tua prima espressione artistica è stata la scrittura… quanto è importante per te scrivere?

Scrivere è importantissimo per me, quasi come se fosse una seconda pelle perché ogni giorno quando non sono impegnato a recitare o a produrre, io mi metto a scrivere perché ho tante storie che voglio raccontare, sto scrivendo tante sceneggiature. Per me scrivere è un’esigenza esistenziale, il mio modo per esprimermi come persona e come professionista passa attraverso la scrittura. Scrivevo sin da piccolo, alle scuole medie scrivevo poesie, alle scuole superiori ho scritto il mio primo romanzo che non ho mai terminato e attualmente scrivo molto come sceneggiatore.

Oggi sei sceneggiatore, produttore e attore. Come attore hai lavorato anche con il grandissimo regista di origini lucane Francis Ford Coppola. In che modo ti ha arricchito questa esperienza?

Questa esperienza mi ha arricchito sotto diversi punti di vista. Distant Vision era un film che Francis Ford Coppola ha catalogato come film per la televisione. È stata un’esperienza molto bella e molto forte, mi ha dato più fiducia in me stesso, non che non ne avessi prima, però, se era rimasta qualche titubanza sulle mie capacità, la possibilità di poter lavorare con persone di quel livello, un livello massimo, ha fugato ogni dubbio. Un altro aspetto che mi ha cambiato molto è stato il fatto di vedere una persona come Francis Ford Coppola, quindi un regista già famosissimo che, a 70 anni passati, si mette a fare questo nuovo progetto, si mette a sperimentare una cosa completamente nuova che nessuno aveva mai fatto prima. Una cosa anche molto complessa. Lui ha fatto un connubio tra cinema, teatro e televisione. Noi attori andavamo sul set e facevamo prove ripetutamente, i cameramen ci riprendevano con tantissime telecamere; al contempo Francis era in cabina di regia che faceva il montaggio e provava anche lui. Abbiamo fatto questo molte volte poi, l’ultimo giorno, c’è stata la ripresa finale dove tutto è andato in onda in via satellitare. Ecco io ho visto un uomo di questa statura, a 70 anni, rimettersi in gioco, reinventarsi correndo il rischio di fare un errore. Questo mi ha confermato, ancora una volta, quanto è importante per noi tutti cercare di fare qualcosa di nuovo.

Intervista a Carlo Carere - francis ford coppola
 Francis Ford Coppola at the 2011 San Diego Comic-Con International. Di Gerald Geronimo, CC BY-SA 2.0

Quali sono stati, i ruoli, come attore, che ti hanno impegnato di più? Come ti prepari a diventare il personaggio che devi interpretare?

Io sono un “attore di metodo” nel senso che ho inizialmente studiato con un coach romano molto bravo. Cerco sempre di trovare la verità in un personaggio quindi studio come si muove, come parla, quali sono i suoi dubbi, i suoi desideri, il suo lato oscuro, le sue paure; cerco nel suo passato, cerco questa verità e poi la metto nella mia pancia e la faccio diventare mia. Voglio citare una frase che ci ha detto proprio Francis Ford Coppola e cioè che, secondo lui, non è un attore che diventa il personaggio ma è il personaggio che diventa l’attore ed è una cosa completamente opposta rispetto a quello che si pensa di solito. Io come dicevo sono un attore di metodo quindi cerco sempre di interiorizzare il tutto.
Ultimamente ho fatto alcuni personaggi che mi hanno impegnato molto. In uno spettacolo teatrale che abbiamo fatto recentemente che si chiama My Big Gay Italian Wedding da cui è stato tratto in Italia un film con Diego Abatantuono e che io ho fatto con un amico che si chiama Gianfranco Terrin, interpreto due ruoli. Ho fatto la parte di un sacerdote molto divertente ma anche molto omosessuale che ovviamente nascondeva la sua omosessualità e che doveva celebrare questo matrimonio ma non poteva farlo perché la chiesa cattolica è contraria; il secondo personaggio che ho fatto, nello stesso spettacolo, era il padre dello sposo che invece è completamente l’opposto, è un po’ un conservatore, un uomo rozzo. Un altro personaggio impegnativo è stato sicuramente quello del medio metraggio che ho scritto e anche prodotto che si chiama Near Death che è andato anche in televisione nel Nord America. Questo lavoro mi ha impegnato molto perché facevo l’attore ma anche il produttore; avevamo pochissimi soldi e tantissime location, è stata una sfida enorme che però poi è andata bene perché abbiamo avuto feedback molto positivi.

Scrivere una sceneggiatura è completamente diverso dall’entrare nei panni e nella personalità di un personaggio. I due ruoli si aiutano e si sostengono tra di loro o sono totalmente indipendenti?

No non sono indipendenti, sono interconnessi, nella maniera più assoluta del termine perché per me un buon sceneggiatore deve anche avere dei rudimenti di recitazione perché una sceneggiatura racconta la storia di personaggi. Per scrivere di un personaggio c’è bisogno di entrare nei suoi panni, bisogna respirare il personaggio. Molti sceneggiatori fanno anche delle scuole di recitazione e lo fanno perché è giusto che sia così. Quando io scrivo, la mia compagna che mi ascolta mi prende per pazzo, anche perchè per adesso scrivo thriller horror quindi storie in cui succedono cose pazzesche.

In Italia hai lavorato in diverse serie tv tra cui Don Matteo 6. Quali sono le differenze tra lavorare nel cinema e in tv?

Sono molte le differenze. Don Matteo 6 è stato il mio primo lavoro come attore dopo aver lasciato l’Arma e il mio ruolo era proprio quello del carabiniere, è stata una cosa molto simpatica. La differenza tra fare cinema e fare televisione è enorme perché quando fai una serie televisiva devi andare a lungo sul set, anche gli scrittori scrivono tanto perchè le serie tv durano a lungo. Una cosa che è cambiata negli ultimi tempi è che prima la televisione veniva fatta in maniera molto veloce con storie meno pensate, meno studiate rispetto alle storie dei film che invece erano artisticamente più corpose. Adesso, invece, la televisione ha quasi sorpassato il cinema; la televisione sta raggiungendo delle vette artistiche di narrazione e storytelling che sono molto molto elevate; poi adesso ci sono moltissimi soldi in televisione, più che nel cinema quindi si sono invertite le parti, vedremo cosa succederà nei prossimi dieci anni…

In cosa sei impegnato adesso? A cosa stai lavorando?

Adesso sto lavorando a un film che ho scritto insieme alla mia compagna. E’ una cosa abbastanza sperimentale che si sviluppa soltanto in una location che è una camera sotterranea; vediamo una sola attrice e poi ci sono altri attori che sentiamo attraverso il telefono quindi, una storia molto contenuta che dà la sensazione di essere una storia di azione, un action thriller. Adesso stiamo producendo e abbiamo coinvolto nel progetto degli attori famosi, come Ed Asner che è quasi una leggenda, che farà la parte del presidente degli Stati Uniti; non è una parte che verrà vista dalla telecamera ma una parte che sentiremo perché la nostra protagonista lo chiamerà al telefono spessissimo. Poi abbiamo coinvolto un’altra attrice famosa, molto brava che si chiama Vivica Fox e adesso siamo in negoziazione con la nostra protagonista di cui non posso fare il nome.

carlo carere

In Italia eri Capitano dei Carabinieri, facevi quindi parte della Benemerita, avevi un lavoro importante, di responsabilità, un lavoro completamente diverso da quello che svolgi oggi. Mentre noi parliamo, tanti giovani che ci ascoltano si staranno chiedendo: come hai capito che volevi usare la tua vita per fare altro? Come hai preso la decisione di cambiare la tua vita?

Ai giovani vorrei dare un piccolo consiglio. Non abbiate mai paura di prendere decisioni difficili, anche quelle che vi sembrano impossibili qualora queste decisioni coincidano perfettamente con le vostre aspirazioni. Non abbiate paura perché spesso il cervello ci fa mettere dei paletti che non esistono. Quando ho scelto di andare via dall’Arma la mia non è stata una decisione che ho maturato nel corso degli anni. È stata una decisione che ho preso abbastanza in fretta quando mi sono accorto che le mie aspirazioni non combaciavano con quello che stavo facendo. Lasciare l’Arma è stato un salto nel buio. I primi anni in America ho vissuto praticamente dei miei risparmi, ho dovuto affrontare tante difficoltà, ho avuto momenti di sconforto ma non mi sono mai arreso perchè ero consapevole di stare facendo una cosa che veramente mi piaceva; non che non mi piacesse fare il carabiniere ma nella vita si cambia, si trovano altri orizzonti e sapevo che stavo facendo una cosa che veramente mi rendeva felice.

Sei un italiano che vive all’estero e hai raggiunto obiettivi importanti di cui essere orgoglioso. Quanta italianità porti con te nel tuo lavoro e nella vita di tutti i giorni?

Nella vita di tutti i giorni, nel lavoro, negli incontri porto l’italianità che è nel mio DNA. Io sono arrivato in America che ero già adulto, non conoscevo la lingua perfettamente e volevo lavorare in un settore in cui parlare e scrivere la lingua perfettamente era fondamentale. Per me la lingua è stato un grosso handicap però la cosa simpatica è che per colmare questo limite, praticamente già dall’inizio ho cercato di americanizzarmi quindi bevevo il caffè americano cercavo sempre di frequentare americani poi, dopo qualche annetto ho capito che non c’è la possibilità di rinnegare il proprio DNA e quindi ho cominciato ad essere un po’ più istintivo. Adesso mi trovo come se fossi su un ponte che unisce Italia e America. Nonostante io vivi in America da tanti anni, la mia italianità è evidente.

Per chiudere, una curiosità. Bevi il caffè? Espresso, Moka o Americano?

Quando sono arrivato in America ho iniziato a bere il caffè Americano che è un caffè molto lungo. Oggi sono ritornato alla mia italianità, mi sono riconvertito alla Moka e compro rigorosamente il caffè Kimbo.

Grazie Carlo per questa intervista

Intervista a Carlo Carere attore e produttore a Hollywood ultima modifica: 2021-06-05T16:20:07+02:00 da Paola Stranges

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