Dacia Maraini è scrittrice, poetessa, saggista, drammaturga e sceneggiatrice. La sua produzione letteraria è vastissima, ha vinto numerosi premi tra cui il Premio Campiello e il premio Strega. L’abbiamo intervistata.

Il suo ultimo libro è “La scuola ci salverà”. Quanto e in che modo ha danneggiato i ragazzi, il fatto che la scuola abbia completamente perso il suo ruolo di istituzione?

Non direi che la scuola ha perso il suo ruolo di istituzione. Ha perso la prassi dello stare insieme, della socialità, dello stare vicini, perchè a scuola non si va solo per apprendere delle nozioni sì va perché così si impara a vivere con delle altre persone della tua età che come te, stanno lì per imparare. Un ragazzo, una ragazza se stanno a casa frequentano la madre, il padre e sorelle e fratelli. Invece a scuola vengono a contatto con la realtà. Oggi a scuola ci sono anche persone che provengono da altri Paesi, che hanno un’altra origine culturale, religiosa e quindi tutto questo serve moltissimo. La scuola è un atto sociale, un luogo dove si sta insieme con gli altri, e questo è mancato. C’è stata molta solitudine.

Lei ha affermato, in un recente incontro con il critico letterario Marino Sinibaldi, che i personaggi dei sui libri le bussano alla porta. Come e perché, ha bussato alla porta di Dacia Maraini la sua antenata Marianna Ucrìa, protagonista del romanzo storico “La lunga vita di Marianna Ucria” che ha vinto nel 1990 il premio Campiello?

Io faccio questo esempio che naturalmente è una metafora però, effettivamente, io la vedo così. Dico questo perché molti pensano che uno scrittore, una scrittrice, sia come un burattinaio che prende i burattini li fa girare, li fa muovere, poi li abbandona e tutto finisce lì. Invece no, perché i personaggi vengono da te ma poi vanno per fatti loro. Sono autonomi, hanno una loro autonomia, un loro carattere. Succede quindi che i personaggi bussano alla mia porta, io apro e offro loro un caffè e dei biscotti; questi personaggi mi raccontano una storia e poi qualche volta la cosa finisce. Invece, quando un personaggio dopo aver bevuto caffè e preso i biscotti mi chiede un cena e poi mi chiede un letto per dormire, allora capisco che questo personaggio si è accampato nella mia testa, nella mia immaginazione e non sarà facile liberarsene. Così è successo con Marianna Ucrìa che è entrata nella mia vita. Io veramente ero restia a parlare di lei perché non sapevo niente del settecento siciliano ma lei mi veniva dietro, mi bussava ai vetri, mi tirava per la manica, a tal punto che è cominciata una lunga ricerca per scrivere il libro. Ho fatto una fatica enorme, ci ho messo 5 anni per entrare in quel mondo, però, è stata un’esperienza bellissima.

In molti dei suoi romanzi, la crudezza e la violenza delle storie raccontate, pensiamo per esempio alla raccolta di racconti “Buio” che ha vinto il premio strega nel 1999, sottintendono una chiara denuncia e voglia di cambiare il mondo. Ma si può cambiare davvero questo mondo?

Certo che si può cambiare, cambia in continuazione, però qualche volta cambia in peggio e qualche volta cambia in meglio, dipende dai momenti storici. La scrittura certamente non può cambiare il mondo però può creare consapevolezza e, secondo me, questo è molto importante perché prima viene la consapevolezza, la voglia di cambiare poi, questa voglia di cambiare viene raccontata e in qualche modo contagiata e, quando la maggioranza di un popolo ha voglia di cambiare poi alla fine si cambia. Però ci vuole tempo e gli scrittori, secondo me, nella loro capacità di raccontare l’inconscio, di raccontare quello che sta accadendo nel buio della profondità dell’essere umano, possono aiutare a creare consapevolezza.

italiani.it insieme a Italofonia ha portato avanti un progetto. È stata fatta una proposta di legge contro l’abuso degli anglicismi. Cosa si può fare per non fare morire la nostra lingua?

Non credo che possa morire però imbastardirsi sì. Io sono naturalmente per imparare bene l’inglese, più lingue s’imparano e meglio è. L’inglese è la lingua internazionale, degli scambi internazionali ed è bene conoscerlo. Però non si può ogni tre parole di italiano inserire una parola d’inglese, questo mi sembra veramente una forma di servilismo linguistico che è secondo me è sbagliatissimo. Noi purtroppo troppo spesso inseriamo, io non lo faccio naturalmente, parole inglesi perché le macchine parlano inglese e quindi chi vuole essere all’avanguardia e chi vuol stare con la modernità delle macchine, inserisce continuamente parole inglesi. Però è sbagliato perché la nostra lingua è bellissima e capace di dire tutto. I francesi ci danno un esempio anzi, loro esagerano perché non usano una parola che non sia francese. Noi invece usiamo molte parole in inglese. Ricordo una cosa comica. Tempo fa parlando con i ragazzi in una scuola, uno di loro usava la parola “mouse”. Io gli ho detto che “mouse” significava “topo” e il ragazzo è rimasto sbalordito perché non conoscendo l’inglese non sapeva che aveva tra le mani un “topo”. Questo per dire come certe volte abbiamo un rapporto un po’ passivo con le parole straniere, neanche sappiamo cosa stiamo usando. Per questo io dico che bisogna fare un piccolo sforzo e trovare le parole equivalenti perchè che ci sono e, se non ci sono le inventiamo.

La donna e la condizione della donna è spesso il fulcro delle sue opere. Le violenze, gli abusi, ma anche le rivoluzioni condotte dalle donne. A volte sembra che le cose non siamo cambiate così tanto. Dagli anni 70 ad oggi abbiamo fatto dei passi avanti ma c’è ancora tanto da fare. Qual è la sua opinione a tal proposito?

C’è sempre da fare, perché la realtà non è ferma, la realtà si muove in continuazione. Adesso, per esempio, stiamo affrontando una realtà che non avevamo previsto. Tant’è vero che avevamo tagliato i fondi a ospedali, servizi sanitari, medici e infermieri. La pandemia è stata, per esempio, un cambiamento enorme che ha cambiato le nostre vite. La vita cambia, e allora bisogna, in qualche modo, prendere questi cambiamenti con razionalità senza farsi sommergere dalla paura e senza le irrazionalità terribili che vengono fuori quando c’è la paura, l’odio verso gli altri, il sospetto; senza prendere quell’atteggiamento guerresco che vediamo che c’è in questo momento in giro per il mondo, come se gli altri fossero tutti i nemici. Questo, purtroppo, è venuto fuori, la pandemia ha molto aumentato questo atteggiamento. Allora bisogna affrontare coraggiosamente la realtà e cercare di superarla e uscirne. Si può uscirne benissimo, io penso che possiamo uscirne, però bisogna cercare di essere ragionevoli, di essere realisti, di affrontare la realtà con coraggio, con lealtà e senza questa specie di crescita del rancore che purtroppo noi notiamo nei social dove si sfogano le persone. C’è un odio in questo momento, una aggressività linguistica che secondo me è molto pericolosa perché quando cresce poi, ad un certo punto, si arriva alle armi. Quello che sta succedendo in Palestina e nella striscia di Gaza è un segno terribile. Io conosco tantissime persone che stanno da una parte e dall’altra sia palestinesi che israeliani che sono contrarissimi a questa guerra. Bisogna vedere questa cosa non come una lotta fra due popoli ma fra due governi, che, purtroppo hanno interesse a usare le armi, a tenere desta questa situazione di guerra. La maggior parte del popolo italiano e anche di quello palestinese non vogliono questa guerra. La ragione è l’unica cosa che aiuta le persone a superare le difficoltà. La ragione vuol dire rimbocchiamoci le maniche affrontiamo il problema, chiedendoci qual è il problema? Come ne usciamo?

Intervista a Dacia Maraini -paola stranges e dacia maraini

L’infanzia e la cura dell’infanzia sono importantissimi. In questo strano periodo di pandemia forse i più colpiti, da un punto di vista psicologico, sono stati proprio loro i giovani e giovanissimi. Lei pensa che ne pagheremo le conseguenze?

Io ho fiducia nei piccoli, nei ragazzi, nei giovani. Tutti abbiamo pagato però chi ha pagato di più sono quelli che sono morti e ne sono morti in tanti. E poi ci sono stati tanti medici e tanti infermieri che sono morti e quindi bisogna capire che quello che è successo è stato una maledizione, qualcosa di orrendo. Certo i bambini e i ragazzi hanno patito perché non sono potuti tornare a scuola, perché molti non avevano gli strumenti per la didattica a distanza, però io credo che loro poi hanno la forza per reagire. Io quando ero piccola ero in un campo di concentramento e credevo che sarei morta lì. Ho sofferto molto di più di quello che sta succedendo adesso. Ne sono uscita appunto perché mia madre che era una donna di grande coraggio mi ha insegnato che bisogna affrontare la realtà giorno per giorno con coraggio e cercare di fare il meglio possibile. Così si riesce a sopravvivere, se si ama la vita e non si fa del male agli altri, in qualche modo si riesce a sopravvivere.

italiani.it ha a cuore il senso di appartenenza al luogo delle radici. Lei è nata a Fiesole da padre per metà fiorentino e per metà inglese e da madre siciliana. Ma dove sono le sue radici?

Le mie radici sono miste. I bambini non hanno questo problema, questo dell’identità è un problema che si pongono gli adulti. L’identità non è un monolite, non è che uno ha una sola identità, ne ha tante; io sono italiana, sono europea, sono un poco giapponese perché ho vissuto otto anni in Giappone e ho assorbito tantissimo, nella mia infanzia, della cultura giapponese, del cibo giapponese, del teatro giapponese, tutte le fiabe che ho sentito da bambina erano giapponesi. Poi sono anche un poco fiorentina e un poco siciliana quindi non bisogna pensare che l’identità sia una prigione anzi, è un’opportunità in più, è avere varie radici.

C’è un suo luogo preferito e invece uno che vorrebbe cancellare con un colpo di spugna?

Non ne vorrei cancellare nessuno. Sai cosa vorrei cancellare? I rifiuti che veramente sono un grosso problema. Quando vedo dei posti bellissimi, dei prati, il lungotevere coperto di rifiuti, veramente mi viene il magone perché capisco che questo è un grosso problema del futuro perché noi usiamo troppa plastica. Tutta questa plastica va a finire nell’oceano dove ci sono addirittura delle isole di plastica, e questo non fa bene al mare, non fa bene ai pesci. E’ uno dei grossi problemi che dobbiamo affrontare, siamo quasi sette miliardi di persone e stiamo distruggendo le foreste, stiamo distruggendo i ghiacciai, stiamo distruggendo il polo nord, i boschi. Bisogna fare attenzione perché sennò si rischia veramente di fare sparire l’essere umano. Tante specie sono scomparse e stanno scomparendo in continuazione. L’essere umano può scomparire, è un essere della natura che ha avuto la forza straordinaria di creare tante cose belle per esempio la democrazia e poi tutto quello che noi abbiamo, le case, i libri, la poesia, la musica, però se non stiamo attenti al clima e all’ambiente che stiamo distruggendo, possiamo scomparire anche noi per questo bisogna difendere l’eco-sistema.

Lei ha sempre avuto una grande passione per i viaggi. Come viene accolta, nei luoghi che visita, dagli italiani che la incontrano e la riconoscono?

Devo dire che sono accolta sempre molto bene ma probabilmente perché il mio atteggiamento è di amicizia e simpatia. Io do fiducia alle persone, non vado con il sospetto. Mi rivolgo con simpatia e con rispetto perché io rispetto tutti, ovviamente se una persona mi si rivolta o mi picchia allora cambio il mio atteggiamento. In principio non escludo nessuno, non considero mai nessuno nemico perché per me gli esseri umani sono tutti quanti sacri e quindi se uno si pone con questo atteggiamento, di solito, le persone rispondono bene perché si sentono rispettate. Ho un buon rapporto con le scuole perché mi metto a tu per tu con gli studenti, non mi considero superiore; penso che siamo tutti uguali io magari un po più di esperienza di un ragazzino però siamo uguali.

Grazie per l’intervista

La scrittrice Dacia Maraini si racconta in un’intervista a italiani.it ultima modifica: 2024-02-04T09:30:00+01:00 da Paola Stranges

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