Una leggenda sopravvive sul monte Vettore, re indiscusso dei monti Sibillini, da millenni nasconde e mormora.
Lassù dove nella notte dei tempi nacque il mito della grotta della Sibilla, detta anche grotta delle Fate, secondo la quale quest’antro era l’accesso al regno sotterraneo della regina Sibilla, una sacerdotessa in grado di predire il futuro.

leggenda della sibilla appenninica

Per secoli, da tutta Europa negromanti e cavalieri erranti salirono sul monte Vettore per consacrare i loro libri, risalendo dove c’è l’altrettanto misterioso lago a forma d’occhiali, detto di Pilato.
La storia narra che due buoi senza guida che trasportavano il corpo di Ponzio Pilato, salirono sul monte Vettore e si gettarono nel lago scomparendo per sempre.
In quello specchio d’acqua blu vive un gamberetto, unica specie al mondo che nuota al contrario con il ventre rivolto in alto, e talvolta le acque d’improvviso si tingono di rosso vivo.
Ma il mito si mescola alla realtà, poiché gli archeologi hanno rinvenuto presso il lago una pietra piatta con simboli esoterici, probabilmente usata per riti magici, molto praticati per secoli lassù.

Sibilla e la sua leggenda
Secondo la leggenda, la Sibilla era buona e incantatrice, conoscitrice dell’astronomia e della medicina, ed elargiva responsi profetici con un linguaggio non facile da interpretare.
Essa si circondava da fate che uscivano la notte, e risalivano prima dell’alba per non essere escluse dal regno della Sibilla.
Queste creature aleggiavano intorno al lago di Pilato, dove si recavano per il pediluvio, poiché solo al riparo da occhi indiscreti alzavano i gonnelloni mostrando il piede caprino.
Le fate tuttavia avevano contatti con l’uomo, recandosi a valle per insegnare alle giovani la filatura e la tessitura delle lane, e per incontrare i giovani pastori.
Da qui nasce la leggenda di amori stregati che le legava ad alcuni uomini, i quali una volta entrati in contatto con le fate, talvolta venivano irretiti e sottratti al mondo umano, e rimanevano in vita fino alla fine del mondo, sebbene costretti a vivere nella grotta, nel modo della notte con le fate e la sacerdotessa.
Le fatate creature dei monti Sibillini sono descritte come giovani di bell’aspetto, e il calpestio dei loro passi ricorda il rumore di zoccoli sulle pietraie dei monti. Esse dovevano stare ben attente però a non mostrare le loro fattezze caprine per non svelarsi.

Monte Vettore nella storia
Qualche volta lasciavano tracce sdrucciolando i sentieri con il piede caprino, oppure a volte gli animali liberi sui monti al pascolo tornavano con la criniera pettinata a treccioline e i valligiani credevano che le artefici erano proprio le fate.
Nel tempo, queste creature furono demonizzate dalle prediche dei preti e dei frati, e infine costrette a rifugiarsi nelle viscere della montagna, scomparvero quasi del tutto nel mondo invisibile, forse punite anche per aver dimostrato la conoscenza a quel tempo monopolio dell’uomo.
Il mito si mescola ancora al mondo reale e alla leggenda, relegando le fate, assimilabili del tutto a figure femminili, a restare celate, imprigionando quindi la donna all’ombra, segregata entro precisi confini, probabilmente perché con le proprie peculiarità, minacciava la stabilità razionale del maschio e la sua supremazia, infatti, se la donna osa rendere visibile la propria sapienza mette in luce i limiti del maschio.
Sopravvivono ancora favole che ricordano di fate di carattere mutevole e vanitoso, talvolta egocentrico, permalose e irascibili, poiché un torto poteva scatenare la loro ira e il loro dispetto, inducendole a incattivirsi e attuare incantesimi punitivi lanciando maledizioni.
Sul Vettore per secoli furono erette forche e costruiti sbarramenti per impedire ai negromanti di salire lassù, ma ancora oggi le viscere dei monti Sibillini dove grotte inesplorate si stagliano nell’oscurità, terremoti ricorrenti spaventano ancora l’uomo e gli ricordano della Sibilla.

Leggenda e mito della Sibilla appenninica e delle fate ultima modifica: 2018-05-14T09:30:47+02:00 da simona aiuti

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