Articolo a cura di Matteo Donelli

Entrano e passano attraverso civiltà per entrare in altre. Da ogni strato perforato le radici assorbono cultura, sapori e passioni dei suoi uomini. Vanno giù negli abissi dei tempi, ancora prima dei romani e di Tiberio. Le tombe di Verucchio con il ritrovamento dei vinaccioli testimoniano che anche le radici delle viti di San Valentino hanno un terroir già ampiamente apprezzato da villanoviani e romani per fare vini di qualità.  Gelosamente custoditi nella biblioteca privata di San Valentino, ci sono diplomi dell’Ottocento che attestano l’alta qualità dei prodotti già saliti agli onori della cronaca locale. Documenti ingialliti protetti dalla forza del tempo che offrono interessanti testimonianze che la coltivazione della vite era già impostata con densità di 10.000 piante per ettaro e già organizzate a filari.  San Valentino nasce nel dopoguerra con diversi passaggi di proprietà. Nel 1981 il podere viene  acquistato dall’Ingegner Nanni, che vi costruì la cantina. Le uve venivano però conferite alla locale cooperativa.  La grande svolta per San Valentino arriverà solo negli anni Novanta. La famiglia Mascarin capì per prima che quegli ettari di terra erano un pozzo culturale della enologia italiana. Da amare, proteggere e valorizzare. Sarebbe stata una conduzione di cantina anomala però. Un’avventura.Più che i fatturati e i bilanci erano i sentimenti a dettare l’incredibile evoluzione della San Valentino. Gli eventi della vita come guida della conduzione della sua cantina. Senza opporsi, ma facendosi trasportare da quel “fiume di eventi” che sono succeduti negli ultimi 30 anni. San Valentino è un’azienda anomala rispetto al mondo del vino. Una “Don Chisciotte” che si è fatta largo facendo spesso a spallate con pregiudizi e mentalità di un mondo, quello dell’enologia, che la voleva diversa.  

san valentino

Diversa da un’azienda tradizionale. Diversa dalle aziende che hanno seguito i cambiamenti per interesse, marketing e mode passeggere. Roberto Mascarin, fondatore e anima della cantina è andato dritto per la sua strada senza compromessi e senza farsi influenzare dalle mode dell’epoca. Su per delle salite irte e dissestate rinunciando a sentieri pianeggianti e sicuri. Roberto e San Valentino sono un’unica cosa. I vini rispecchiano fortemente le emozioni di un’annata di ogni annata. I vini sono tutti millisimati. Delusioni successi e scelte. Scelte forti, virate brusche che spesso hanno rischiato di far affondare la nave. 

Roberto Mascarin entra nel mondo del vino da astemio. Il padre, importatore esclusivo della birra Stella Artois aveva rilevato la cantina. Un “investimento” che aveva passato al figlio ventenne Roberto. Il versante collinare accarezzato dall’aria salmastra e l’azzurro dell’Adriatico visto da quella unica “vedetta” ripagano ogni giorno di duro lavoro in vigna Roberto. Terra di Sangiovese. Vino di profonda tradizione.  Terreno fortemente argilloso e calcareo. Il terreno cuore di San Valentino. Unicità e ricchezza di minerali capaci di regalare nel bicchiere sentori da grandi classici dell’enoteca. Prima virata: portare sulle colline riminesi vitigni internazionali come Syrah e Cabernet Franc. 

 Affinamento per oltre 10 mesi in botti di legno grande e barriques di secondo passaggio. Il “Vivivan Rosso” farà fatica ad affermarsi inizialmente in Romagna dove si deve produrre per il “popolo” solo Sangiovese. Esplodono invece le richieste internazionali. Piovono valutazioni top dal mondo dei Somelier. Per Roberto quella “virata” gli darà coraggio per proseguire ad ascoltare le proprie intuizioni ma soprattutto il cuore. Non si parla di Bio nei primi anni 2000. Si deve produrre il più possibile. Il Sangiovese fa fare soldi se prodotto in grandi quantità. Ma servono fertilizzanti. Quell’aiutino chimico che fa fare tanti grappoli ma che avvelena piano piano il terreno. L’azienda è piccola e Roberto ha una famiglia a cui dover rendere conto ogni fine mese a livello economico.  

 Ma anche rendere conto ai sorrisi delle due figlie e della moglie. Il rispetto della terra che accoglie i vigneti. Relazionarsi come ad un organismo, le vigne e il terreno deve essere signorile rispettoso e amorevole. “ Se noi sapremo amare dando il massimo delle cure, riceveremo amore” pensava Roberto. Seconda virata. Dura e assolutamente fuori dal tempo delle mode. Passaggio ad una produzione totalmente bio ad inizio 2008. Negli anni successivi la virata sarà ripagata solamente dai sorrisi dei famigliari viste le basse produzioni. Il vascello San Valentino rischia negli anni successivi di insabbiarsi e la morte della cara moglie Valeria nel 2016 è un colpo fortissimo per la cantina e il suo capitano. Nel frattempo ristoranti nazionali ed europei fanno a gara ad accaparrarsi le bottiglie di “Conte di Covignano” i “Luna Nuova” e il bianco di “Scabi Rebola”.  

Quel laboratorio enologico iniziato trent’anni fa inizia a farsi spazio nell’eccellenza nazionale.  D’Attoma e Moltard il Maradona e Pelè dell’enologia nazionale entrano nella squadra di San Valentino.  Estimatori da tutta Europa rimangono affascinati dalla rivoluzione enologica che una piccolissima cantina stava tracciando. Un modello d’esempio di successo per tanti imprenditori del settore. Nel 2016 la famiglia Aureli, co Valentina, Enrico ed Alfredo importanti imprenditori di Rimini affiancheranno Roberto nella compagine societaria, attratti da quei bicchieri così ruvidi e forti come la storia della cantina. Quel romantico vascello, San Valentino, capace di affrontare con successo le più forti mareggiate dell’enologia internazionale è sempre più un veliero della qualità e della sperimentazione. Il tocco femminile della cantina rimane come imprinting dell’azienda anche dopo la scomparsa di Valeria proprio per la volontà di Alfredo Aureli, anche che oltre alla grande esperienza manageriale ci investe da subito in San Valentino una forte emotività. La profondità delle radici solidamente salvaguardate dall’infinita passione e amore dei suoi uomini.  

Radici che vanno a perforare il tempo ultima modifica: 2021-01-21T16:00:00+01:00 da Matteo Donelli

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