Napoli: la città del sole, del mare, della pizza e del mandolino! Ebbene, oltre ai cliché, la città di Napoli nasconde molto di più. Il suo fascino misterioso, la sua arte sublime, la sua storia ricca di eventi, il suo popolo caloroso e amorevole: Napoli è il cuore e l’anima della Campania. La sua importanza è stata comprovata anche da una recente conquista di non poco conto, che ha reso i napoletani molto orgogliosi delle loro origini. Da poco tempo, il dialetto napoletano è stato riconosciuto come lingua!

Il dialetto napoletano: un po’ di storia…

Dopo il riconoscimento della pizza come patrimonio dell’Umanità, è stato il turno del dialetto napoletano. Infatti L’UNESCO ha dichiarato che il napoletano non è in realtà un dialetto, bensì una vera e propria lingua. Viene parlato in quasi tutte le regioni, dalla Campania al basso Lazio, dall’Abruzzo al Molise, dalla Puglia alla Calabria. Le sue origini sono molto antiche, e vanno dallo sviluppo della città di Pompei fino al tempo degli aragonesi. Con la dominazione degli spagnoli, il dialetto napoletano è stato impiegato come lingua amministrativa, oltre che di Stato. Nel corso dei secoli, il Napoletano ha subito molte modificazioni e influenze, ma ha mantenuto intatta la sua matrice originaria.

dialetto napoletano - Raffaele Viviani (nella foto) è stato uno dei più importanti attori, autori, e scrittori della Napoli antica
Raffaele Viviani (nella foto) è stato uno dei più importanti attori, autori, e scrittori della Napoli antica

Con l’arrivo di Garibaldi e la fine del Regno delle due Sicilie, il napoletano fu sostituito ufficialmente dalla lingua italiana, sebbene in Piemonte la lingua della burocrazia fosse il francese. Durante il periodo del primo Novecento, ci furono persino alcune persone che proposero al parlamento piemontese di abolire ufficialmente il dialetto partenopeo. Col passare degli anni, il dialetto napoletano fu sempre più osteggiato, e per questa ragione venne relegato a lingua usata da malavitosi, briganti e gente poco raccomandabile, in base a quanto riportato dalla nuova nobiltà che stava facendosi strada nel regno. A discapito di quanto si racconta, il dialetto napoletano si sviluppò e crebbe rigoglioso, nonostante le svariate difficoltà.

Il Napoletano e la dichiarazione dell’UNESCO: non un dialetto, bensì una lingua!

Sebbene nel gergo comune lo si continui a definire dialetto, il napoletano è stato ormai definitivamente decretato dall’UNESCO essere una lingua autentica. Questa decisione non è stata presa istintivamente, come si potrebbe pensare, ma è il frutto di una lunga ponderazione. Secondo gli studiosi del settore e i linguisti, il dialetto napoletano è da ritenersi la seconda lingua ufficiale in Italia. Questo anche grazie alla fama e alla gloria che ancora oggi conservano le canzoni melodiche napoletane di un tempo (che hanno fatto il giro del mondo), e alle commedie dell’immenso Eduardo De Filippo. I personaggi, le storie, gli insegnamenti del Teatro partenopeo hanno trasmesso tutta l’anima e il sentimento di quel luogo incantato che è Napoli.

dialetto napoletano - La maschera di Pulcinella rappresenta uno dei simboli partenopei più amati di sempre
La maschera di Pulcinella rappresenta uno dei simboli partenopei più amati di sempre

Non solo, la lingua di un popolo è strettamente legata alla sua storia, e quella del Regno di Napoli è stata inscritta a pieno regime nel panorama non solo italiano, ma anche internazionale. Nel tempo la lingua napoletana si è sviluppata e arricchita da quelle che i puristi definiscono influenze volgari, ma nonostante ciò, ha mantenuto fede alle sue radici. Spesso è stata anche impiegata da poeti e scrittori per esprimere al meglio le loro idee, poiché (come diceva il famoso Giambattista Vico) era ritenuta una lingua filosofica, comprensibile ai più. Ormai non ci sono più scuse: il napoletano è una lingua che racconta parte della nostra identità, e va tutelato e preservato. Parola dell’UNESCO!

Il dialetto napoletano: quando l’anima di un popolo diventa una lingua ultima modifica: 2018-05-17T09:30:45+02:00 da Marcella Calascibetta

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