Il Corridoio Vasariano è una delle opere architettoniche più affascinanti e atipiche del nostro Paese e forse del mondo. Ma ancor più intrigante della sua bellezza è la nascita, le molte vite e, più in generale, la storia che circonda questo luogo e che è legata a un genio assoluto dell’architettura italiana. Era aretino, era un girovago, aveva servito due papi e oltre a essere un pittore e architetto è stato il primo storico dell’arte. Si chiamava Giorgio Vasari.
Cosimo I e il Vasari: i padri del Corridoio
Vasari torna a Firenze nel 1554 per volere del duca Cosimo I. Dispotico ma incline alla bellezza, Cosimo lo aveva chiamato anni prima per ristrutturare Villa Castello e ora vuole ammodernare Palazzo della Signoria. Ci si era trasferito da Palazzo Medici nel 1540, poi Eleonora di Toledo si era innamorata di Palazzo Pitti. Così, Palazzo della Signoria era divenuto Palazzo Vecchio. Nel 1560, i lavori procedono bene e allora Cosimo gli affida un nuovo progetto: gli Uffizi. La visione del duca è ardita, ma Vasari accetta: tanto è già lì per l’altro cantiere. Non immagina che la vera impresa, più per tempistiche che per imponenza, la compirà pochi anni dopo. Nel 1564, Cosimo ha grandi progetti. Dopo molti tentativi falliti, ha infatti ottenuto un matrimonio vantaggioso per il figlio Francesco a cui ha appena lasciato, almeno formalmente, il Ducato. La prescelta è Giovanna d’Austria, sorella dell’imperatore Massimiliano II.
Cosimo ha un obbiettivo: Firenze ha servito con onore prima Carlo V e poi Ferdinando I e merita di essere indipendente, non più stato vassallo dell’impero. Soprattutto lui, Cosimo, vuole essere re. Il titolo di Granduca lo otterrà nel 1569, ma da papa Pio V, scatenando le ire di Massimiliano II.
In quel 1564 però, Cosimo ormai è al potere da trent’anni, inizia a essere vecchio, stanco, vedovo e vorrebbe ritirarsi, ma non confida abbastanza nelle capacità del figlio. Deve continuare a governare quindi, ma lo farà nell’ombra. Ed è qui che ha l’intuizione: un corridoio finestrato che colleghi Palazzo Pitti a Palazzo Vecchio. Grazie ad esso i Medici, i loro ospiti e soprattutto lui potranno passare da una parte all’altra della città in totale sicurezza, senza guardia e con la possibilità di spiare il popolo.
Il percorso del passaggio e il veto dei Mannelli
Vasari butta giù il progetto. Nella sua mente il corridoio parte dalla Camera Verde della duchessa Eleonora in Palazzo Vecchio, passa sopra via della Ninna, percorre gli Uffizi e, scavalcando Lungarno degli Archibusieri, arriva all’Arno. Il fiume però va attraversato, allora l’aretino pensa di costeggiarlo e sfruttare Ponte Vecchio: il Corridoio Vasariano sovrasterà le botteghe del ponte allora proprietà di macellai, pizzicagnoli ed erbaiuoli. Da qui non resta che bucare Torre Mannelli, proseguire sopra via de’ Bardi e dirigersi verso Palazzo Pitti, espropriando l’espropriabile. Esattamente, un chilometro di corridoio da poter percorrere con carrozzelle a due posti, fornito di panche per le soste e di un bagno decorato. Già, visto che nel tragitto si passa sopra il loggiato della Chiesa di Santa Felicita, tanto vale creare un palchetto chiuso che permetta alla famiglia di seguire le funzioni religiose.
C’è però un problema: i Mannelli non acconsentono all’esproprio. Cosimo e Vasari sanno che i Mannelli sono testardi e potenti e un contenzioso è da escludere, soprattutto per una questione di tempi. Sì, perché al Vasari manca il tempo: le nozze sono fissate per il 18 dicembre e Cosimo ha già impostato un fitto calendario di celebrazioni, quindi deve essere pronto a settembre. Se i lavori iniziano a marzo, i mesi per costruirlo sono sei. Allora che fare con i Mannelli? Aggirarli letteralmente, utilizzando dei beccatelli (o mensolette) in pietra serena su cui far poggiare il Corridoio. Incredibilmente, a settembre è tutto pronto e al Vasari non resta che tornare a occuparsi del cantiere degli Uffizi, il cui procedere a rilento preoccupa il Duca.
Né l’uno né l’altro riusciranno però a vederli finiti: Cosimo muore il 21 aprile 1574 e appena due mesi dopo lo segue il suo fidato architetto.
La vita del Corridoio dopo Vasari
Il Corridoio Vasariano proseguì la sua funzione di “passaggio” per quasi un secolo, ma dalla metà del Seicento in poi i Medici se ne dimenticarono. Ferdinando II iniziò ad usarlo sempre meno e Cosimo III nei suoi 53 anni di governo preferiva di gran lunga utilizzare la carrozza del Corridoio. Alla fine, si dice, fosse più utilizzato dai delinquenti per nascondersi che dai granduchi. Quando la famiglia Medici si estinse con la morte senza eredi di Gian Gastone nel 1737, il potere passò in mano a Francesco Stefano di Lorena che di lì a pochi anni sarebbe divenuto imperatore, sposando Maria Teresa d’Asburgo.
Proprio in quel 1737 Anna Maria Luisa, l’ultima dei Medici, fece il più grande regalo che la sua città potesse ricevere, ovvero stipulò con Francesco Stefano il Patto di Famiglia: tutto il patrimonio culturale posseduto dai Medici passava sì ai Lorena, ma non avrebbe mai e poi mai potuto varcare i confini del Granducato e, soprattutto, sarebbe divenuto pubblico. Ne conseguì che divennero pubblici gli Uffizi, i quali avevano perso ormai da anni la loro funzione politica per diventare la galleria privata dei Medici. Di conseguenza, anche il Corridoio Vasariano perse definitivamente il ruolo di “passaggio” e inizio lentamente quella di “appendice” museale. Fu solo nel dopoguerra però che il Corridoio divenne la casa della più grande collezione di autoritratti del mondo: Filippo Lippi, Rembrandt, Delacroix, De Chirico, Guttuso, Morandi, Chagall e ovviamente Giorgio Vasari. Tutti, ma proprio tutti hanno un posto nel Corridoio Vasariano.
Il Vasariano fino ai giorni nostri
Il Corridoio Vasariano ha poi vissuto più vite. Vite che gli ridonarono quella funzione strategica per cui Cosimo I e il Vasari l’avevano ideato. Durante la Seconda Guerra Mondiale i partigiani lo usarono spesso come passaggio, esattamente come si vede in Paisà di Rossellini. Nell’agosto del 1944, i tedeschi decisero di far saltare i ponti di Firenze prima di ritirarsi. Per assurdo, solo Ponte Vecchio si salvò e così anche il Corridoio. Alcuni dicono che Hitler avesse deciso di salvarlo. Altri che il merito fu del console ribelle Gerhard Wolf. Ma i fiorentini vi diranno che il vero eroe fu Burgassi (o Burgasso), un vecchio e menomato aiutante degli orafi, che nella notte tagliò i fili delle mine. Il Corridoio Vasariano rimase comunque danneggiato dai bombardamenti: ne fece le spese il bel bagno cinquecentesco, ma nel complesso i danni furono limitati.
Più gravi furono le conseguenze dell’attentato mafioso all’Accademia dei Georgofili. Era la notte del 27 maggio 1993, erano gli anni della guerra Stato-Mafia. L’autobomba sistemata in via de’ Georgofili fece crollare la Torre dei Pulci, distrusse alcune sale degli Uffizi, parte del Corridoio Vasariano e un quarto delle opere contenute in quegli ambienti, ma soprattutto uccise cinque persone che con quella guerra non avevano niente a che fare. In confronto, il danno provocato alcune settimane fa a una delle colonne del Corridoio sul Lungarno degli Archibusieri da un camionista incosciente è roba da ridere. Giusto un piccolo contrattempo in attesa della sua riapertura.
Nel 2020, infatti, il Corridoio finirà il suo restauro e tutti potranno tornare a guardare Firenze dalle sue finestrelle. Proprio come faceva ogni mattina Cosimo I, quando passeggiando col Vasari probabilmente gli rivolgeva sempre la solita domanda.
«Messer Giorgio, a quando la fine degli Uffizi?»