Le sue origini italiane, la cultura del suo Paese quanto hanno inciso nella sua carriera professionale?

Credo che le mie origini italiane, più precisamente pugliesi, abbiano influito su alcune scelte della mia carriera. Come “donna del Sud” la mia priorità è sempre stata la famiglia e quindi, anche se amo profondamente la mia professione, non ho mai permesso che quest’ultima potesse inficiare in modo negativo sul mio nucleo familiare.
Ad esempio, quando ci sono state delle tournée importanti che duravano a lungo, ho sempre cercato di segmentarle affinché potessi tornare a casa o comunque portare i miei figli con me. Preferisco occuparmene io direttamente che non avere una tata a casa che li segua. Devo dire che questo tipo di scelta è stata la miglior cosa che potessi fare anche se inevitabilmente tutto ciò comporta una grande organizzazione. Certo l’impegno è notevole ma con tanta buona volontà ce la si può fare.

Secondo lei l’Italia è ancora un Paese meritocratico per quel che concerne la musica? Quali potrebbero essere gli effetti collaterali del non avere persone di qualità nel mondo dello spettacolo?

Secondo me l’Italia non è meritocratica né nella musica né in tantissimi altri settori. Non lo è nello sport per quel che riguarda le donne, non lo è per chi vuole ancora proporre la melodia italiana. Quest’ultima e il bel canto sono lasciati “di diritto” a pochi, agli “storici” di quest’arte. Per quel che riguarda gli effetti collaterali del “non avere persone di spessore nel mondo dello spettacolo” direi che, in realtà, non si tratta tanto di ledere la qualità che, ci tengo a dirlo, può essere proposta in maniere diverse. Il vero problema, in realtà, è che ci dovrebbe essere posto per tutti. Negli altri Paesi ci sono tantissimi generi musicali e la gente è libera di scegliere ciò che più le piace. In America, per esempio, abbiamo il country, il pop, il blues, il reggae, il latino americano. In Italia, invece, in qualche modo viene imposto un genere a discapito di un altro. Siamo molto più settoriali e credo che questo sia sbagliato.

La musica italiana piace ancora all’estero? Secondo lei quale peculiarità fa sì che si distingua nel panorama internazionale e mondiale?

La musica italiana piace molto all’estero e secondo me questa è la beffa maggiore. Fuori dall’Italia, in qualsiasi film vediamo e sentiamo parlare della pizza piuttosto che della lirica, mentre, ahimè, nel nostro Paese non siamo in grado di sostenere né l’una né l’altra. Noi Italiani, per tradizione e storia, siamo l’Antica Roma. Siamo, forse, i numeri uno per quel che concerne la cultura nel mondo, ma, con il passare del tempo, abbiamo preferito essere schiavi piuttosto che imporci nel mercato e lo abbiamo fatto in tutti i settori.
La cantante Giorgia sta cercando in tutti i modi di sostenere e difendere il “Made in Italy”, è molto ferma e concreta su questo concetto e spero tanto che abbia la forza di portarlo avanti. In generale, noi Italiani non sappiamo difendere ciò che è il nostro patrimonio, in particolare la melodia e la composizione per quel che riguarda in modo più specifico il campo musicale. Abbiamo la fortuna di avere dei testi che sono delle poesie ma poi non sappiamo venderle e permettiamo agli altri, invece, di emularci. Ci sono tanti artisti italiani nel mondo che sono per assurdo diventati famosi in Giappone, in Cina, in Francia, in Germania e noi qui in Italia non sappiamo neanche che esistono.

Sogna di portare la sua musica all’estero? Perché?

In realtà ho sempre affiancato grandi nomi come Toto Cutugno, i Ricchi e Poveri, ma noi siamo sempre un po’ quelle “nuove leve” che vorrebbero essere assurte come protagoniste e, invece, viviamo come “spalla”. Sì, sogno di andare all’estero e in una maniera completamente autonoma. Molti treni sono stati persi perché, comunque, quando si è portati in certi contesti in punta di piedi poi si vai via anche nello stesso modo. Quindi devi sempre sperare che qualcuno ti aiuti, ti dia fiducia. Noi Italiani spesso abbiamo un brutto difetto: se percepiamo la bravura di qualcun altro, per paura, non lo promuoviamo.

Lei si è esibita anche all’estero. La musica italiana, è ancora credibile al di fuori del nostro Paese?

Sì, la musica italiana è ancora credibile. Siamo noi a non crederci abbastanza. Fuori dall’Italia, gli artisti stranieri “rubano” la nostra melodia, la rendono “loro”. Quante volte si sentono brani in cui si percepisce la nostra cultura musicale, ad esempio quella “partenopea”, che poi viene esportata in Spagna, piuttosto che nei mercati latini o statunitensi. Noi in Italia abbiamo un brano molto commerciale dal titolo “Non amarmi”. Nel nostro Paese ha avuto un successo limitatissimo ed invece in Sud America è uno dei pezzi più suonati.

Quali sono state le principali difficoltà che ha dovuto superare per diventare un’artista affermata in Italia?

Per assurdo in Italia la mia disabilità (n.d.r. il fatto di essere non vedente) è stata accomodante inizialmente perché ha aperto i cuori degli Italiani ma, in seguito, è diventata ingombrante perché arrivava prima della mia voce. Già da Miss Italia il fatto che non vedessi è stato in realtà un problema, che mi ha fatto partire con un voto in meno. Per non parlare poi degli sponsor che dicevano: “Se vince questa ragazza a noi costerà il triplo in quanto non si sposta in maniera autonoma”. Poi, dopo gli attacchi di Aldo Busi, tutte le persone non parlavano di me chiamandomi per nome ma definendomi “la cantante non vedente”. Questo per me è stato un grandissimo limite, perché mi ha poi ostacolato in mille altre esperienze. Ora sto conducendo un programma televisivo e anche lì ho dovuto lavorare il triplo perché nessuno credeva che lo potessi fare fino a quando ho dimostrato, invece, che era possibile. Oltre alla tua disabilità devi fare uno sforzo in più per dimostrare le capacità che hai.

Secondo lei, il mercato discografico, le esigenze dei produttori e quelle dei mass media rischiano di impoverire, di ridurre il talento, l’espressività, la spontaneità dell’artista?

Il mercato discografico italiano è stato rovinato nel momento in cui le radio sono diventate discografiche. Oggi le radio ti danno il minutaggio, il genere. I suoni sono determinati da ciò che decidono loro. In Francia il 70% della musica deve essere assolutamente nazionale e vi sono tutti i generi, poi il 30% viene lasciato “all’estero”.

Come artista quali sono ancora i suoi sogni nel cassetto?

Spero che la mia musica possa esprimersi senza limitazioni e trovare il suo spazio sia in Italia che all’estero. Il secondo è che io riesca a continuare il mio lavoro di conduttrice perché trovo che stia diventando un grandissimo strumento di comunicazione e che io lo possa sempre usare per prestare un reale servizio a chi comunque guarda la televisione, diventando quindi per il telespettatore non solo intrattenimento ma anche un’opportunità.

Se potesse duettare con un artista del passato (italiano o estero), chi sceglierebbe e per quale motivo?

Ho avuto la fortuna di cantare con quasi tutti i miei idoli come Claudio Baglioni, Toto Cutugno (tranne Pino Daniele) e quindi sono stata fortunata. Tra gli artisti stranieri, invece, ammiro molto Steve Wonder, che ho incontrato su un importante palco in America ma che non sono riuscita in realtà a conoscere meglio e Barbra Streisand. Di questi artisti mi colpiscono le vibrazioni, quello che mi fanno provare in positivo e in negativo, come riescono ad aprire il mio cuore, le mie tristezze piuttosto che la mia più potente allegria, la mia energia. Sono “strumento in mezzo ad altri strumenti”, sono incantata dal loro linguaggio emotivo.

Secondo lei, oggi, ci sono ancora autori e/o compositori italiani che rappresentano il vero “Made in Italy” o anche le nostre canzoni stanno semplicemente diventando un prodotto commerciale ad uso e consumo delle mode?

Secondo me, ancora oggi, Claudio Baglioni, che realizza dei capolavori, Antonello Venditti e Renato Zero difendono la musica italiana e non hanno mai cambiato genere, non si sono mai piegati a mode o a “consumi facili”. Non solo, questi artisti hanno sempre detto: “Noi siamo questo e qui rimaniamo, i nostri pezzi durano 5 minuti e o vi va bene così o va bene comunque”. Credo che questo sia un bel messaggio.

Il Maestro Jonathan Cilia Faro che l’ha nominata da sempre sostiene l’importanza della meritocrazia e della filantropia nel campo musicale. Attualmente qual è il cantante che lei stima maggiormente e in che cosa secondo lei contribuisce a dare lustro all’Italia?

Io adoro Claudio Baglioni, mi piace tantissimo, lo amo profondamente. Tra le donne, amo l’energia di Emma. E’ un’artista che “non ha perso la melodia” e che ha questa voce un po’ “Nannini”, un po’ graffiante ma allo stesso tempo anche imponente. Ha un modo molto forte di dire le cose e mi sembra che il suo temperamento pugliese si senta anche nella scelta dei brani. Mi piace perché non è scesa a compromessi e continua a fare canzoni che hanno un certo spessore, nonostante incontrino la moda. Lei se lo può permettere perché ha fatto i numeri giusti per arrivare fino a qui.

Parlando di meritocrazia e di filantropia, secondo lei tra le giovani promesse, quale artista crede meriti di poter emergere? Per quale motivo?

Sinceramente mi sembra che i nuovi artisti parlino tutti e che cantino in pochi. Molti di loro dal vivo cadono un po’ sull’intonazione. Un artista che mi ha piacevolmente stupita è stato Mahmood, è bravissimo. Mi dicono però che oggi si utilizzano degli strumenti che vanno ad incidere molto sull’intonazione.
In generale non ci sono voci che mi colpiscono particolarmente a parte quella di Tiziano Ferro che, in realtà, non è un artista emergente. Amo molto come compone Tananai, “Abissale” è un pezzo molto carino, c’è questo ritornello che ti porti con te e che ha un gran bel potenziale.

A seguito della sua esperienza, a suo giudizio, è più facile collaborare con altri artisti italiani o è più stimolante farlo con cantanti stranieri?

Dipende. Se ad accoglierti è una persona sicura come Claudio Baglioni, diventa una bellissima esperienza perché è un lord della musica e anche perché ti dice: “Fai tutto quello che vuoi, prenditi lo spazio che vuoi, canta di più, non cantare di meno”.
Mentre se vedi che dall’altra parte c’è una sorta di rivalità, un mettersi in concorrenza allora tutto crolla. Con gli artisti stranieri invece quando c’è una fusion di culture emerge sempre qualche cosa di particolare.

Quali sono a suo giudizio le caratteristiche principali che deve avere un artista per poter affermarsi in Italia? E’ sufficiente il talento?

In Italia ci vuole tanta fortuna. Perché il talento lo hanno in molti ma, attenzione, non è tutto. Spesso dico ai miei studenti che una persona può nascere con un grande dono ma dietro ci deve essere anche una formazione totale, che non è solo imparare a cantare, a suonare ma anche a promuovere, a comunicare quello che uno sente e a saperlo difendere. E’ necessario essere un po’ manager di se stessi. Nel momento in cui non si hanno tutte queste abilità, ci sarà sempre qualcuno che, anche se con meno talento ma più formazione, lavorerà più di te e riuscirà ad arrivare primo.

Che progetti ha per il prossimo futuro?

Beh, sicuramente due format televisivi molto importanti e molto belli. Andremo a promuovere il premio “Sergio Bruni”, per parlare della melodia napoletana che è stata dimenticata. Si tratta di un grandissimo artista che ha cantato forse le canzoni napoletane più importanti e al quale non era stato ancora dedicato un premio. Sarà presentato in RAI e poi vi saranno altri format che metteranno insieme le mie abilità nello sport e la mia capacità di sostenere il “Made in Italy” attraverso il cibo. E, infine, mi sto preparando per affrontare i Giochi Olimpici Estivi del 2024 a Parigi con la disciplina del triathlon.

annalisa minetti mentre corre il triathlon
Intervista a Annalisa Minetti sulla musica italiana e sui suoi progetti futuri ultima modifica: 2023-03-02T20:02:00+01:00 da Nadia Milliery Ognibene

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