Articolo a cura di Matteo Donelli
La semola di grano duro, il vero cuore della pasta. E poi il pastaio.
La sua mano e il suo cuore.
Ma spesso non sono purtroppo per lui sufficienti per capire da dove arrivano i suoi ingredienti principali. E poi c’è il consumatore finale. Sulla sua tavola che pasta arriva?
Nel cuore dell’Italia meridionale, alla fine degli anni Novanta, Giuseppe Di Martino, pastaio da tre generazioni a Gragnano, inizia a forgiare il suo progetto: Pastificio dei Campi.
Un progetto che si forma grazie ad una prospettiva di analisi diversa rispetto agli altri produttori, ovvero impersonificarsi nell’esigenza del consumatore finale di conoscere l’origine della filiera di ciò che mangia.
Puglia, più precisamente zona del Tavoliere e del sub Appennino Dauno, aree storicamente vocate alla coltivazione del grano duro, come base del progetto.
Un grano duro dagli elevati valori nutritivi, coltivato senza l’utilizzo di fertilizzanti chimici. Il grano di un tempo. Quello usato dai tempi del Regno di Napoli.
Il giovane Di Martino voleva raccontare una storia emozionante ai suoi consumatori, che non per forza dovevano avere le discendenze nobiliari della corte del Re di Napoli; trasferire sulle tavole di tutti gli Italiani di oggi i sapori autentici di una pasta fatta seguendo tradizioni con oltre 500 anni di storia. Un’impresa davvero titanica, se concepita negli anni Novanta, già pienamente dominati dalla mentalità industriale e dell’alta produzione.
La chiave di volta era tutta lì, nella produzione della semola di grano duro.
Riportando la lancetta del tempo indietro di secoli e tornando alla rotazione triennale delle colture, una tecnica conclamata che evita l’impoverimento del terreno dovuto alla monocoltura, si sarebbe ottenuta una materia prima straordinaria.
Un anno si coltivano colture ad ortaggi (la maggese) e un anno leguminose proteiche. Queste ultime come noto, hanno la capacità di fissare l’azoto contenuto in atmosfera nelle radici della pianta, così da poter essere sfruttato l’anno successivo dal grano.
Il terzo anno si coltiva grano.
Le lavorazioni avvengono con arature leggere e più concimazioni azotate, la prima in semina, la seconda in fase di levata e l’ultima in botticella (è il momento in cui la pianta inizia a produrre la spiga). Inoltre, la semina è molto diradata in modo che le piantine assorbano una maggior quantità di nutrienti e di azoto.
L’azoto è l’elemento chimico alla base della formazione delle proteine. In questo modo il grano ottenuto è in quantità minore, ma di qualità altissima, dal colore molto carico, con un contenuto di proteine ben più alto del grano duro coltivato con i soliti metodi. La granella infatti raggiunge un tenore proteico del 15-15,5%, per dare una semola con il 14% di proteine.
Ma per far ciò bisognava innanzitutto convincere i contadini a lavorare con basse rese -e bassi guadagni rinunciando alle coltivazioni intensive molto in voga all’epoca -e purtroppo anche oggi. L’accordo fu trovato, grazie ad una retribuzione che prescindesse dall’effettivo raccolto di grano e che garantisse anche il pagamento dei raccolti destinati alle colture alternative.
Il Pastificio dei Campi ha puntato sull’utilizzo solo di alcune tipologie di grano duro come Saragolla, Gracale, Kore, Pietrafitta.
Il grano duro, biologico 100% Italiano, ci dà tutta la sicurezza che la provenienza a Km limitato può dare. Esso durante la coltivazione si arricchisce di proteine, raggiungendo un valore proteico molto più elevato del grano coltivato con metodi soliti. Le proteine formano il glutine, una trama elastica che dà consistenza alla pasta e avvolge l’amido trattenendolo durante la cottura, per darci un prodotto dalla tenuta di cottura eccellente, che resta sempre “al dente”.
A contribuire alla qualità della crescita del grano è il clima ovvero caldo, ventilato e poco umido, che assolutamente sfavorirebbe la formazione di muffe e quindi di micotossine.
Inoltre, la tenacità e la qualità del glutine dei grani italiani sono molto più alte rispetto ai grani esteri.
Elemento ulteriormente importante è l’acqua di Gragnano.
Ideale per la pastificazione, perché è perfetta per la miscelazione. Il suo sapore non crea interferenze: al gusto si sente benissimo tutto il sapore di grano maturo e di null’altro.
Vi è poi la trafila in bronzo a rendere la pasta rugosa, capace di trattenere il condimento. La lenta essiccazione a basse temperature consente di preservare gli antociani (coloranti naturali, che con queste temperature non si alterano e la pasta resta bianca, senza ingiallire), i nutrienti e il glutine e mantenere al meglio il profumo e il sapore.
L’esperienza che si tramanda di padre in figlio è un altro elemento chiave.
A Gragnano la pasta si fa dal Cinquecento e tutta questa conoscenza, accumulata durante i secoli viene costantemente studiata e preservata in prima persona da Giuseppe Di Martino.
Cercare negli archivi storici dei mulini di un tempo i documenti sulla produzione di una volta; leggere, informarsi, parlare coi contadini per capire le potenzialità di una qualità produttiva che spesso è stata stravolta dalla richiesta di produzioni massive e di bassa qualità.
Un’attività certosina, meticolosa e spesso difficoltosa quella di Giuseppe Di Martino. Motore di questa incredibile spinta imprenditoriale, la voglia di regalare l’emozione dei sapori di una volta ai consumatori.
Pastificio dei Campi con i suoi prodotti, porta sulla tavola prima di tutto la sicurezza di una filiera totalmente tracciata e, poi, l’emozione di una pasta il più possibile uguale nei sapori a quella assaporata per secoli dal popolo napoletano.
Nei primi tempi il progetto del Pastificio Dei Campi fu accolto con un certo scetticismo dalla famiglia Di Martino, in particolar modo dal padre, Don Valerio, che reputava superfluo il lavoro fatto dal figlio Giuseppe di provare a migliorare un prodotto già eccellente come la pasta di Gragnano prodotta dall’azienda di famiglia.
Ma una domenica, durante il consueto pranzo familiare, Giuseppe Di Martino portò una confezione in busta neutra del suo primo formato di pasta prodotto al Pastificio dei Campi, i fusilli lunghi col buco.
Con la complicità della madre, li servirono a tavola e il padre, con piena soddisfazione commentò: “Hai visto figlio mio, dove la trovi una pasta buona come questa? È impossibile fare di meglio!”
A quel punto Giuseppe svelò al padre la verità, ovvero che quel piatto di pasta appena assaporato era il frutto delle sue ricerche e del suo lavoro. Così iniziò il sogno del Pastificio dei Campi.