Parla con grande empatia della sua esperienza al Mambo di Bogotà. Eugenio Viola, curatore e critico d’arte italiano, dal 2019 chief curator del Museo di Arte Moderna di Bogotà, curatore del Padiglione Italia della ormai imminente Biennale Arte che si terrà a Venezia dal 23 aprile al 27 novembre. Spiega che, in mezzo alle tante difficoltà del vivere nel paese latinoamericano, “Qui ho la possibilità di essere parte di un processo di ricostruzione civile e sociale attraverso l’arte e la cultura. E’ una cosa meravigliosa ma è anche una responsabilità infinita”.

Eugenio Viola Padiglione Italia con altri ospiti
da sinistra: il curatore del Padiglione Italia Eugenio Viola, l’artista Gian Maria Tosatti, Onofrio Cutaia DG Creatività Contemporanea e Commissario Padiglione Italia (Ph. Monkeys Video Lab)

Perché? “ La Colombia è una realtà complessa e ricca di lacerazioni . Esce, ma non è ancora uscita, da uno dei conflitti interni più lunghi della storia dell’umanità. C’è stato un accordo di pace nel 2016 ma alcune zone del Paese sono ancora in mano ai paramilitari. C’è il problema del narcotraffico, è fra le società latinoamericane più diseguali e corrotte … “. In tutto questo però “L’arte e la cultura possono dare la possibilità di immaginare un futuro diverso. Perché l’arte e la cultura educano”.

In questa chiave, quali i collegamenti tra le due esperienze, quella del Mambo e quella della Biennale?

Sono esperienze molto legate, perché considero il mio lavoro come una serie di fatti che si concatenano, creando un romanzo per immagini in costante divenire. Due piani che si intersecano. “Storia della Notte e Destino delle Comete” al Padiglione Italia sarà una narrazione del difficile equilibrio tra uomo e natura. Tra sviluppo sostenibile e territorio, tra etica e profitto. Ci sarà la mia idea di arte che credo debba necessariamente rapportarsi con le contraddizioni e le lacerazioni della società. L’unica ragione di esistere dell’arte è quella di collegarsi a tutto ciò che è sociale e civile.

Quanto questa sua idea di arte è stata condizionata dall’esperienza colombiana?

Moltissimo. La mia esperienza di curatela è sempre stata molto legata al sociale. E questo rapporto è cresciuto in maniera esponenziale anche con la scelta di operare dove opero, a Bogotà in Colombia. In un tempo in cui siamo bombardati da immagini, l’unica ragione di esistere dell’arte è quella di collegarsi a tutto ciò che è sociale e civile. L’arte deve porre più domande che risposte, non è il mio compito dare risposte, devo piuttosto dare una prospettiva diversa su quelli che sono i problemi.

Il ministro Dario Franceschini l’ha scelta perché portatore di “una visione creativa, ambiziosa e innovativa” per un progetto espositivo che sarà “affascinante”. Quale la sua visione innovativa e il fascino del prossimo Padiglione Italia?

La visione innovativa del Padiglione è strettamente legata al fatto che porto un unico artista, Gian Maria Tosatti. Una proposta secca e decisa, equiparando la partecipazione nazionale a quella dell’artista. Sarà un progetto visionario, coraggioso, come è nelle corde di Tosatti e anche nelle mie corde. Gian Maria Tosatti ha una formazione eccentrica, ha realizzato potenti installazioni che uniscono molti media, un po’ come la sintesi delle arti. Storia della Notte e Destino delle Comete è per entrambi, a oggi, il capitolo più importante che ci apprestiamo a scrivere di questo racconto, in cui le nostre storie tornano ancora una volta a intrecciarsi e confrontarsi. Questo progetto inoltre non potrà non tener conto del nostro presente incerto, metapandemico.

Eugenio Viola Padiglione Italia - Gian Maria Tosatti_artista_Eugenio Viola_curatore_Presentazione Padiglione Italia Biennale Venezia_Ph. Monkeys Video Lab
Gian Maria Tosatti insieme a Eugenio Viola

La grande attualità della pandemia. A Bogotà è stata lo stimolo per un suo progetto molto interessante. Ce lo racconta?

Va premesso che in Colombia la pandemia ha accresciuto grossi problemi già esistenti. Ha aumentato la povertà delle piccole economie informali, di chi vive alla giornata. Con il lockdown tutto si è fermato anche qui. La gente moriva di fame. E la fame genera rabbia, violenza, durante la terza ondata eravamo nel pieno dell’agitazione sociale. La pandemia è un problema in più fra i già tanti che affiggono il Paese. Ma siccome la gente ha bisogno di normalità, il Mambo è rimasto aperto il più possibile. Quando era chiuso mi sono inventato il primo progetto artistico nazionale che si è confrontato con la pandemia. Invitando gli artisti a proporre opere che avevano realizzato durante la pandemia come un inserto pubblicabile sul quotidiano El Tiempo, equivalente dell’italiano Corriere della Sera. Uscivano il sabato e la domenica, per un totale di 60 uscite. Da maggio a dicembre. In un certo senso è stato anche un progetto sociale.

Torniamo quindi alla funzione sociale dell’arte…

Sì, è stato anche un modo di democratizzare l’opera d’arte comprandola per l’equivalente di 30 centesimi che è il prezzo di questo quotidiano. E per raggiungere un tipo di pubblico diverso. Quello di chi non necessariamente si identifica con gli esperti d’arte. Queste opere d’arte coglievano l’attualità di quei momenti e anche la tragicità di quell’attualità.

Quanto ha influito Napoli, la sua città, in questa sua visione dell’arte e quanto conta nella sua esperienza colombiana?

Napoli per certi versi mi ricorda Bogotà. Con tutte le debite differenze, una è sul mare e l’altra è andina. Però entrambe si nutrono di questa entropia creativa, entrambe vivono al limite e si nutrono del loro limite. Ci sono molti punti di contatto fra le mie origini e questa realtà. Perché comunque io vengo dal sud, sono latino, ho origini spagnole, abbiamo tutta una serie di punti di contatto nel modo di rappresentare, di scrivere dei sentimenti, di avere una sorta di plasticità mentale nell’adattarsi ai problemi. Dico sempre, scherzando, che mi trovo tanto bene qui proprio perché sono di Napoli… Napoli è stata per me una palestra per affrontare Bogotà, dove ho scelto di venire e poi di rimanere.

Un italiano a Bogotà, a curare una delle sue principali istituzioni culturali. Come l’hanno presa i colombiani?

Quando sono arrivato qui ero il primo curatore istituzionale, nella storia del Paese, che non parlava spagnolo. Adesso sono l’italiano che è dietro al Mambo. Recentemente mi è stato dedicato un lungo articolo da un quotidiano nazionale. Ora mi seguono, sono ben accetto. Forse perché do la possibilità di guardare alle cose e ai problemi con una particolare angolazione. Questa è la sfida più grande. Proporre qualcosa che per loro abbia senso pur non facendo parte della loro realtà e della loro storia. La reazione delle persone è positiva. Lavoro per una istituzione concentrata su un concetto di comunità in una società che è ancora molto divisa. E noi dobbiamo dare una risposta di coesione, di unione, l’arte può farlo. Ha questo potere.

I suoi progetti piacciono?

Ovviamente i progetti che presento non sempre piacciono. Ma non sono fatti per piacere, a volte servono per scatenare una reazione. E’ questa la funzione principale dell’arte, la più importante in un mondo dove tantissimi, troppi stimoli visivi rischiano di anestetizzarci, di renderci indifferenti e quindi di ammazzare l’arte. Per questo l’arte ha il compito di scatenare una reazione. Che non necessariamente deve essere positiva, deve piuttosto dare degli spunti, questa è la cosa più importante.

L’arte in Italia vista da Bogotà. Le piacerebbe tornare a tempo pieno in Italia?

Conosco le criticità che pesano sul sistema dell’arte italiano. Alcune cose stanno migliorando, ci sono maggiori possibilità per gli artisti e per chi fa il mio lavoro, cioè la critica. Molto spesso, però, le persone per essere riconosciute devono andare all’estero, non mi riferisco solo alla mia esperienza. Le nostre istituzioni sono fragili da vari punti di vista, anche economici. Perché al momento rimango qua? Perché posso essere parte di un processo di ricostruzione. Mi sento utile. Il mio percorso è frutto di una serie di fatti che si sono concatenati. E il sud è una parte ineliminabile del mio destino: sono nato in Italia del sud, mi sono trasferito a un certo punto della mia vita nell’emisfero sud (Eugenio Viola è stato anche senior curator del Perth Institute of Contemporary Art nel Western Australia, ndr). Adesso vivo in America del sud. Più sud di così …

Fonte fotografia in evidenza: CAMO Camilo Delgado Aguilera

Intervista a Eugenio Viola, dal Mambo di Bogotà al Padiglione Italia della Biennale ultima modifica: 2022-03-20T12:52:41+01:00 da Cristina Campolonghi

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