Lo chiamavano Trinità, racconti dal backstage di un film famosissimo che ha appena compiuto cinquant’anni. Cult movie sulla scia degli spaghetti western che andavano tanto di moda negli anni Sessanta-Settanta del secolo scorso. Il traguardo del mezzo secolo è già stato celebrato a Napoli con una mostra multimediale dedicata a Bud Spencer, il popolare attore napoletano scomparso nel 2016 e che è stato uno dei protagonisti del film. Dalla mostra a una chiacchierata quasi familiare – ospitata all’Hotel Ca’ Sagredo di Venezia – che ha avuto per protagonisti i figli: di Bud Spencer appunto (che in realtà si chiamava Carlo Pedersoli) e del regista Enzo Barboni, nome d’arte E. B. Clucher. A dialogare con i due figli la giornalista Lisa Bernardini presidente dell’Occhio d’Arte APS. Una narrazione-testimonianza della profonda amicizia che legava l’attore e il regista. Come i due figli, a loro volta amici ed entrambi impegnati nel mondo del cinema.

I retroscena del film raccontati dai figli di Bud Spencer e del regista Enzo Barboni

Accompagnate da video e immagini scorrono le narrazioni di retroscena del film del tutto inediti. Come l’immagine di papà Carlo Pedersoli – lo racconta il figlio Giuseppe, sceneggiatore e regista – che improvvisamente torna a casa vestito da cow-boy e nessuno in famiglia sapeva ancora del film. O di quando – questa volta il racconto è di Marco Tullio Barboni, sceneggiatore, regista e scrittore figlio di Enzo – Terence Hill, altro protagonista del film, è stato costretto a tre giorni di digiuno. “Doveva essere super affamato – ha spiegato – per rendere credibile la scena in cui si abbuffava davanti ad una padella di fagioli.

Lo chiamavano Trinità film - Terence Hill davanti alla padella di fagioli
Terence Hill davanti alla padella di fagioli nel film Lo chiamavano Trinità

Come non ricordare – aggiunge sempre Barboni figlio – le tante partitelle di calcio che servivano come pausa di relax tra una scena e l’altra. Carlo Pedersoli/Bud Spencer partecipava a queste partite insieme a macchinisti ed elettricisti. Tante delle battute diventate storiche sono state create lì, sul momento, dagli stessi attori e in particolare da Bud. Venivano fuori spontaneamente in romano o in napoletano. Per il film erano poi tradotte in inglese e in italiano. Quello era lo spirito. Il piacere di far parte tutti di questa avventura. Oggi mi stupisco quando le sento ripetere non solo da persone della mia generazione ma anche da tanti ragazzi giovani. Sono entrate nel linguaggio comune. Una su tutte, quella citata da milioni di fan: Emiliano non tradisce. Emiliano dice tutto. A mio padre farebbe piacere sapere che il suo film ha fatto ridere più di una generazione di spettatori».

La grande amicizia, non solo professionale, con Terence Hill

“Sul set c’era una bella atmosfera – gli fa eco il figlio di Bud Spencer – una coesione forte e direi unica. Il successo del film è stato il risultato anche di questa sinergia. Mio padre nella vita normale non sapeva andare a cavallo, non parlava inglese, usava la giacca, non si era mai fatto crescere la barba, non aveva mai recitato. Il suo esordio nel cinema direi che è stata una magia improvvisa. La nascita e il successo di questo film quasi una congiunzione astrale».

Lo chiamavano Trinità film - Bud Spencer e Terence Hill
Bud Spencer e Terence Hill

Poi dedica un accenno particolare all’amicizia del padre con Terence Hill: “Sono stati legati da un’amicizia particolare che è durata tutta la vita. Erano due persone molto diverse: Terence arrivava sul set presto, si preparava come gli attori americani. Mio padre invece improvvisava, ad aiutarlo era la sua natura napoletana. Comunque due diversi timidi. Attori fuori dal divismo, molto schivi. A differenza di altri, non hanno mai avuto un’agenda di contatti, non hanno mai chiamato nessuno. Due persone fortunate che hanno saputo mettere le loro capacità al servizio del regista. E il regista Enzo Barboni ha saputo tirare fuori gli elementi fondanti di questa coppia straordinaria”.

Lo chiamavano Trinità ribalta il clicé del film western violento

Barboni appunto. “Mio padre – racconta il figlio Marco Tullio – aveva vissuto la campagna di Russia. Era tornato in Italia a piedi… Dopo questa esperienza drammatica affrontava ogni giorno come un giorno trovato. Un uomo incontrollabile che non vedeva gli ostacoli e che ha vissuto tutta la vita con leggerezza. Credo che anche questo abbia contribuito al successo del film che, come i sequel, non sono stati mai bloccati dalla censura perché non offendevano nessuno. La sua idea era quella di ribaltare il cliché del film western violento”. E di leggerezza parlano i figli di Bud Spencer, tutti presenti in sala: “Nostro padre aveva un modo molto scanzonato di vivere la vita e una grande passione per l’America Latina”.

Lo chiamavano Trinità film - conferenza stampa
Da sinistra: Giuseppe Pedersoli, la giornalista Lisa Bernardini, Marco Barboni e l’assessore Simone Venturini

Probabilmente la stessa di Claudio Scarpa, direttore dell’Associazione Albergatori Veneziani, console dell’Uruguay e delegato per il Veneto del Grupo Consular de America Latina che ha promosso e patrocinato l’iniziativa insieme ad Ava. “Devo confessare – ha detto – di avere una grande passione per i film di Bud Spencer e della coppia. Danno una visione del mondo in cui c’è il bene e c’è anche il male, che però non è mai così malvagio e bastano quattro schiaffoni per sconfiggerlo».

Lo chiamavano Trinità: il film compie cinquant’anni ultima modifica: 2020-09-23T09:05:15+02:00 da Cristina Campolonghi

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